Obsession e altri profumi
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Massimo Celani
“Il
luogo è esso stesso in te
Non
sei tu che sei nel luogo, il luogo è in te”
Angelus
Silesius, Il Pellegrino Cherubico
Qui
c’è puzza di stallatico.
Altro
che no logo! Con arguzia sottile mia moglie
da tempo ha preso a scambiare la razza con la marca. Di un cane incontrato
nelle rare passeggiate nel centro città chiederà con garbo: ”come si chiama” e
subito dopo “che marca è?”. Spostamento preciso visto che le due domande
rispondono alla necessità di verificarne l’indossabilità.
Che sarebbe in fondo l’unico criterio serio (altro che creatività!) per
stabilire l’efficacia delle denominazioni, del branding e più in generale della
prassi pubblicitaria.
E
perché l’aula scolastica non è una sala da bagno?
Chōra ci giunge, come il nome,
Quando un nome viene, esso dice subito più del nome l’altro del nome
e l’altro come tale, di cui
annuncia per l’appunto l’irruzione.
Jacques Derrida, Il segreto del nome
Quando nella salutistica del
XVI secolo si accenna a certi odori del corpo, si parla anche della necessità
di eliminarli. In quei casi però, più che a qualsiasi tipo di lavaggio, si
ricorre a strofinamenti e profumi: bisogna frizionare la pelle con salviette
profumate, asciugare con forza, cospargendovi del profumo, non propriamente di
lavare. La toilette è nello stesso tempo asciutta ed energica. Si tratta di
quelle che Georges Vigarello definisce “pratiche asciutte” (Lo sporco e il pulito, Marsilio, 1996).
Ricordo di passaggio che escursioni e variazioni sull’uso dell’acqua e delle
abluzioni sono evidentemente correlate alle fantasmatiche anatomo-fisiologiche
sulla porosità della pelle. Così può succedere che dal medioevo, la pratica del
bagno e del lavarsi venga abbandonato e si faccia un uso smodato di profumo per
rimediare alla mancanza di igiene. Appaiono così le prime acque profumate,
quali l’acqua di Ungheria, poi, più tardi, l’acqua di Colonia, commercializzata
da Jean Marie Farina. (Segnalo sull’argomento una bella tesi di laurea di
Valentina Pagano, Università di Salerno, 2003)
I profumi provengono da questa
tradizione di toelettatura, ma la scoperta dei prodotti di sintesi, alla fine
del secolo scorso, ha cambiato in modo considerevole sia il modo di elaborare
il profumo, sia quello di percepirlo. E’ nella Belle Époque che si affacciano Jicky (1889, probabilmente la prima
fragranza unisex), Origan (una metonimia del 1905), Chyprie (una sinestesia del
1917). Occorrerebbe spiegare a certi semiologi che Aimé Guerlain con Jicky
inaugura una profumeria "emotiva", che non cerca più di imitare
l'odore dei fiori, ma cerca piuttosto di suscitare emozioni, che viviamo
un'estesia di fondo con il mondo e che comunichiamo perché siamo già in
relazione e non per metterci in relazione.
Agli studiosi di marketing
occorrerebbe anche ricordare che Chanel N°5 nasce nel 1921 e che Arpège (un
“arpeggio” musicale) di Lanvin è del 1927: altro che line-extension, l’haute
couture ha da sempre ragionato in termini sinestetici e di range brand.
Certo è che lo spazio borghese
del bagno è quello con cui si cominciano a delineare quelle che saranno le
nostre abitudini quotidiane.
Dalla cura di sé all’essere in
forma, dallo star bene allo star meglio, dal fitness al wellness, le attenzioni
rivolte a se stessi sono sempre più interiorizzate, e sempre più esplicitate,
sempre più lontane dal semplice utilitarismo igienico. Promozione di pratiche
narcisistiche, per le quali la stanza da bagno autorizza segreti rilassamenti.
In un mercato sempre più
difficile e pericoloso, il prodotto sembra non poter più sopravvivere
affidandosi alla sola evidenza della sua presenza e delle sue caratteristiche
tradizionali (distribuzione, prezzo, qualità). Al contrario, esso deve
arricchirsi di un supplemento di personalità, che gli viene dalla sua messa in
discorso[1].
“L’identità è una dimensione
più profonda dell’immagine, assai meno suscettibile di ondeggiamenti. Se
l’immagine lavora nell'orizzonte dell’attualità, l’identità di marca si
dispiega lungo un arco temporale più lungo e su criteri di memorabilità più
complessi, in cui interagiscono le radici culturali della marca, la sua storia,
le sue fonti di legittimazione.
Più che di desiderabilità, essa
rappresenta dunque un indicatore di fiducia e autorevolezza, cioè il potenziale
di fidelizzazione” (C. Gily Reda, Frammenti
di mondo, 1994).
Ci troviamo in presenza di una
comunicazione che segue criteri fortemente omogenei: la materia pubblicitaria
tradizionale degli annunci stampa e degli spot si riduce sensibilmente. Vengono
meno certamente le body copy, molto spesso anche le headline e le baseline, i
claim. Spesso si sottrae anche il colore e trionfa il bianco e nero o il seppia
o in ogni caso il monocromatico. Gli elementi spariscono per dare spazio ad
un’immagine evocativa, a una forte esperienza sensoriale, a un paesaggio, a una
visione del mondo.
Non resta che un nome, una
boccetta, un paesaggio. Spesso un paesaggio di corpi.
La pubblicità dei profumi rende
dunque possibile studiare al microscopio, dunque in modalità ossessiva,
fenomeni che altrove, nella comunicazione pubblicitaria tradizionale, ci si
presentano in forme molto più complesse e intricate.
La pubblicità dei profumi opta
per il sussurro o - del tutto - per il silenzio: “un silenzio, come tempo
poetico omogeneo” (R.Barthes, Il grado
zero della scrittura, 1982) che permette all’immagine di svelarsi in tutta
la sua completezza e in tutta la sua complessità. S'inscrive dunque in una
forma silenziaria (Paolo Valesio, Ascoltare
il silenzio, 1986) di comunicazione che offre allo spettatore una tregua nell’animazione
permanente del piccolo schermo o del traffico di pagina.
Il
nome dei profumi / il profumo dei nomi
Il significato di un nome – poco
importa se inventato o meno – si produce solo come risultato della sua multipla
combinazione (isotopia) con l’oggetto da un lato e con i messaggi pubblicitari
dall’altro. Come accade in ogni altro caso di composizione isotopica, quando
più segni si combinano a formare un “testo”, si verifica innanzi tutto un
fenomeno di selezione semantica, vale a dire di diminuzione del ventaglio dei
significati possibili per ciascun segno: così ogni tipo di combinazione
d’insieme specifica e autorizza soltanto alcuni dei possibili percorsi di
lettura.
Nella maggior parte dei casi, i
nomi vengono estratti da repertori definiti, in quanto sono già stati nomi di
qualcos’altro, cioè sono stai usati per far riferimento a una qualche entità
particolare.
La denominazione già
repertorializzata come tale, il nome che è già stato un nome, risulta più
impegnativo e più rigido nel trasporto dei valori che realizza: trascina con sé
tutto un “mondo”, quindi una imponente ricchezza concettuale. L’entità
commerciale nuova tende a includere, se vogliamo per “citazione”, alcuni valori
dell’entità culturale “citata”: si opera su elementi simbolici già
culturalmente codificati.
Alcune denominazioni tendono ad
agire come focus, e quindi a focalizzare l’attenzione su certe affermazioni che
esse compiono, su certe caratteristiche del prodotto che esse sembrano
esplicitamente “predicare”, mentre altre tendono piuttosto a presentarsi come
“nomi” e basta. La scelta di un nome a funzione “topicalizzante” è questione di
strategie di immagine: le qualità del prodotto vengono implicitamente
presupposte, date per note, ammesse come se fossero di consenso generale
(Giulia Ceriani, Marketing moving,
2004).
Per alcuni nomi si è
evidenziato il richiamo alla pelle, alla “vestibilità” di un profumo; un abito
da indossare, un modo per denotare una caratteristica della personalità, di chi
lo ha scelto come fragranza.
Profumi come: Touch, Organza, White, Black, Rouge, Blu, Le blue.
Il seguente gruppo sposa il
concetto di infinità, temporale e spaziale, ma anche di entità sovrannaturale,
energia cosmica, che poco lascia intendere ai comuni mortali, e molto lascia
avvolto dal mistero. Nomi come: Farhenheit, Eternity, Chrome, Miracle, Energy, Light Blue,
Presence.
Il profumo dell’ambiguità,
della fragilità della natura umana che si lascia piegare dagli eventi: è
un’essenza che crea disorientamento, e confusione, voglia di sganciarsi dai
canoni tradizionali ed evadere, anche lì dove non esiste verità assoluta,
certezza divina. E’ il caso di: Uomo? Eclix, Contradiction, Escape, Fragile,
Solo.
E arriva anche il momento in
cui la realtà svanisce, sostituita da un “paradiso artificiale”, quello dei
cattivi pensieri, delle colpe umane che prendono corpo, della natura bestiale
mai sopita. Il profumo che stordisce, narcotizza, porta a galla i desideri
reconditi, e dà luce al buio interiore. I nomi usati “sembrano profanare gli
stessi presupposti di commerciabilità legale, sfidare il grado massimo della
tensione applicabile”: Hashish, Opium, Mania, Krazy, Envy, Obsession, Hot,
Rush, XS, X-centric, Hypnotic poison, Python.
Ma c’è spazio anche per i buoni
sentimenti e la celebrazione dell’amore, evidenti in: J’adore, Truth, Romance,
Declaration, Tresor, So pretty, Emotion, Interactive.
Il profumo diventa simbolo di
uno stile di vita, evoca elementi contestuali e situazioni. Delimita porzioni
di “mondo”, dove le persone scelgono di adeguarsi ad un canovaccio simbolico, e
di affermare la propria scelta con incisività e determinazione. Facile trovarsi
in tal caso in presenza di citazioni esplicite. E’ il caso di That’s amore
(citazione di una celebre canzone di Dean Martin che prima diviene un profumo
di Gay Mattiolo e più tardi curiosamente cancellata da un’omonima linea di
piatti pronti della Findus), Theorema (Fendi/Pasolini). Manifesto (Isabella Rossellini/Karl Marx),
Dolce vita (Dior/Fellini).
Il profumo che diventa stimolo
di uno stato, simbolo di un modello comportamentale, di un carattere. Citazioni
implicite, per riferirsi a una tipologia femminile e maschile, quali:
The dreamer, Kouros, Eau
savage, Fragile, Arrogance, X-centric, Krazy, Romance, Tresor, Le male,
L’homme, A men, Aquaman, Cheap and chic.
Riorganizzandoli in cluster
secondo criteri retorici:
Metonimici
Fluid (Iceberg)
Eau par
Kenzo (Kenzo)
Eau by
Alissa Ashley
Acqua di Giò (G. Armani)
Eau de
Rochas (Rochas)
L’Eau de
Cheap&Chic (Moschino)
Vetiver (Guerlain)
Ô (Lancôme) [2]
Romeo (R. Gigli)
Giò (Giorgio Armani)
Azzaro (Loris Azzaro)
Boss (Hugo Boss)
Roma (Laura Biagiotti)
Paranomasici/Anagrammatici
Mania (Armani)
Le blue (Le Copains)
Blu (Bulgari)
Versus (Versace)
V’è (Versace)
Krazy Krizia (Krizia)
J’adore (Dior)
Coriolan (Guerlain)
Ô (Lancôme).
Acronimi
Ckbe (Calvin Klein)
Ckone (Calvin Klein)
Giò (Giorgio Armani)
D&G (Dolce e Gabbana)
Toponimi
Casran (Chopard)
Mahora (Guerlain)
24, Fauborg (Hermes)
Shalimar (Guerlain)
Roma (L. Biagiotti)
Nel nome del cane
Da bambino,
quando scrissi per la prima volta il mio nome,
ebbi coscienza di iniziare un libro.
Edmond Jabès, Il
libro delle interrogazioni
Troppi cani, basta cane. “Il
cane” e “canile” li ho pure nel cognome, come anagrammi. Secondo un mio amico
analista di scuola bartezzaghiana, giocando col mio nome e cognome è pure
possibile un “si somma il cane”. La cosa ossessiva si è appalesata nell’arco
degli ultimi trent’anni. Troppi ne ho adottati, curati e – infine - uorvicati (termine dialettale cosentino
che sta per “seppellire”).
Questo
testo è per loro, canidi ignoti ma dalla spiccata personalità di marca.
Sabbia
Capellone
Cavallo
Bracco
Peppina
Sei
Sette
Tigrotto
Biancogrosso
Nerinella
Lauro
Laura
Ballerina
Boss
Buffo
Biancona
Peppino
Rossini
Grigione
Salterella
Maremma
Capellone II
Pupino
Ciccio-ciuccio
Duchessa
Liscia
Gassata
Ferrarelle
Pasquale
Carina
Freddy
Schiva
Luisella
Stella
Birba
Pallino
Kelly
Robin
Nerina
Nerona
Silvana
Doby
Peggy
Rosa
Bacino
Ciccio bianco
Occhi azzurri
Leda
Carbonella
Nera
Jack
Stellina
Jason
Walter
Luna
Rita
Magro
Magro-magro
Chicca
Sciagura
Gal
Braccobaldo
Frimpillino
Pilli-pilli
Mia
Tua
Mac
Scottex
Cavalletta
Whisky
Neve
Al
Nanni Balestrini di “Basta Cane” e a Tiziana B, nota cinofila senza il cui
operato istituzionale gli animalisti calabresi finalmente tirerebbero un
sospiro di sollievo.
*
Massimo Celani, scrive testi pubblicitari e si occupa di cani randagi. Per
quantità e cura i secondi superano i primi.
[1] A. Semprini, Marche e mondi possibili, Franco Angeli, Milano 1993
[2] Ô, al tempo stesso omofono di “eau”, acqua, e
centro visivo e fonico del nome di marca, Lancôme.
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