lunedì 20 luglio 2020

Giovanni Battista e la Nachträglichkeit


Massimo Celani
Giovanni col senno di poi

Arriviamo così alla questione della Nachträglichkeit, termine reso con “après-coup” in francese, ma utilizzato egualmente in italiano, sia da solo che assieme a posteriorità, o a posteriori, non trascurando alcuni nemmeno azione differita, sebbene si sia fatta sempre più strada la convinzione dell’inadeguatezza della traduzione della Nachträglichkeit con deferred action per indicare la retroattività, motivo per cui spesso gli autori italiani (ma questa prerogativa appare esser presente anche in quelli inglesi), preferiscono aggiungere ad essa il termine tedesco o francese. Ma evidentemente non si tratta solo di un problema traduttivo.

Non si tratta tanto di fare il punto “completo” su di un concetto, ma di mostrare da una parte la ricchezza teorica e il ruolo clinico dell’après-coup, dall’altra la diversità di interpretazioni che la comunità analitica sviluppa sulla questione[1].

La proposta “integrativa” fra le due accezioni nasce in verità da una serie di malintesi: il primo è che la psicoanalisi inglese abbia utilizzato il concetto senza nominarlo, ipotizzando dunque un accordo di fondo fra le due “lingue”, mentre a mio avviso si tratta di una differente metapsicologia, di una differente concezione della temporalità psichica e dei processi della cura; il secondo è che se, come l’autrice propone, occorre “dialettizzare” il tempo dell’après-coup con quello lineare evolutivo (che esprime già, come tesi, la necessità di delimitare la posta in gioco dell’après-coup che non è certo data dalla risignificazione del passato - elemento che non disturba nessuno -, quanto invece dall’intreccio dei tempi che si realizza nel momento in cui il tempo 2, il tempo della scena rimossa, risuona nell’evento anodino che si realizza nel presente) si delinea, con questa “dialettica”, una differenza fra un passato da rileggere ed un presente  da vivere, articolato al passato evidentemente solo nella dimensione patologica. Infine, si propone la tesi per cui l’après-coup non è che “una ristrutturazione del passato in funzione del presente, e l’interpretazione un après-coup che riorganizza le percezioni e le conoscenze precedenti”. Ma così facendo si riduce ancora una volta l’après-coup a pura rilettura, si perde di vista la questione del tempo imbricato o dell’anacronismo inerente alla dimensione delle tracce che persistono silenti nel riverbero fra una storia attuale ed una tuttora in giacenza, e si accetta il concetto a patto di ridurlo ad una sequenzialità di tempi che procedono verso forme progressive o di maturazione soggettiva. Anche nella tradizione italiana, il riferimento all’après-coup, mediato ed accompagnato da una pluralità di traduzioni, diventa nell’uso corrente un patchwork di lingue, come del resto mostra il titolo stesso di questa introduzione. Ma i motivi sono da ricercarsi solo nel tentativo di indicare, con queste differenti occorrenze terminologiche, una pluralità indifferente di traduzioni o c’è altro? Sicuramente il riferimento a tali possibilità linguistiche rende conto del dibattito sorto intorno alla traduzione della Nachträglichkeit, come se l’utilizzo del termine dovesse importare l’intera storia del dibattito e con sé, tuttavia, la complessità delle concezioni psicoanalitiche della temporalità, non tutte congruenti fra di loro.

(…)
Il 6 dicembre 1896 Freud scrive a Fliess:
“… Sto lavorando all’ipotesi che il nostro meccanismo psichico si sia formato mediante un processo di stratificazione: il materiale presente sotto forma di tracce mnestiche è di tanto in tanto sottoposto a una sistemazione in accordo con gli avvenimenti recenti, così come si riscrive un lavoro”.
“ … a una sorta di riscrittura. La novità essenziale della mia teoria sta dunque nella tesi che la memoria non sia univoca, ma molteplice e venga fissata in diversi tipi di segni […] vorrei sottolineare il fatto che le successive trascrizioni rappresentano la realizzazione psichica di successive epoche della vita. La traduzione del materiale psichico deve avvenire al confine tra due di tali epoche”[2]
 “A un anno e mezzo il bambino riceve un’impressione a cui non può reagire adeguatamente; solo a quattro anni, rianimando questa impressione, la intende e ne è colpito; e solo due decenni dopo, nel corso dell’analisi, riesce a comprendere appieno, grazie a un processo mentale cosciente, quel che allora era avvenuto in lui”, Freud S. (1914).[3]
Questa oscillazione fra le lingue, paradossalmente mostra che è nel passaggio fra le lingue e non nella loro destinazione (linguistica) che il concetto prende vita. Se la traduzione francese accentua il carattere del coup, del colpo, quella tedesca del nach, del successivo, del supplemento, la traduzione italiana sembra oscillare fra due destini traduttivi e due epistemologie differenti: da una parte tralascia il primo tempo del trauma, spingendo però verso l’indecidibilità dell’evento e del lavoro trascrittivo, intendendo la posteriorità come ripresa e riformulazione non prescrivibile della tracce mnestiche, dall’altra spinge verso una concettualizzazione dell’après-coup come rilettura dell’evento, in una direzione prossima sia alla assunzione simbolica lacaniana, sia alla versione più specificamente ermeneutica. Inteso in questo senso, l’après-coup appare indicare un curioso paradosso, la diversità delle traduzioni mostrando bene come non sempre ci sia resi conto, in una determinata scelta, delle valenze concettuali in esso inscritte. Allo stesso tempo, in questo non poter fare a meno delle diverse traduzioni, esso mostra un funzionamento relativo al senso medesimo della comunità psicoanalitica: essa non può pensarsi che nel passaggio fra una lingua all’altra, negli interscambi fra una cultura psicoanalitica ed un’altra, senza che nessuna, al fondo, possa davvero divenire il codice di lettura di tutte le altre. Anzi, non è nemmeno esatto parlare di un transfert da una lingua all’altra, perché, piuttosto, il transfert culturale interlinguistico “è un passaggio nel quale interferiscono spesso culture terze. (…)
Nel suo testo sull’ après-coup Jean Laplanche mostra i tre sensi possibili del nachträglich: 1) come aggiunto, successivo, secondario; 2) quello dell’effetto secondario differito, (il ricordo agisce après-coup più intensamente dell’evento di cui è il ricordo); 3) quello della comprensione après-coup. “Dei ricordi sono compresi après-coup. E’ l’aspetto freudiano più vicino a quello che si può chiamare retroazione, un senso che sembra invertire la freccia del tempo, poiché il senso dell’evento 1 appare o è dato soltanto in un tempo 2”[4]
Noi, effettivamente, ne sappiamo solo “a posteriori, a partire dai suoi effetti, i quali, perciò, (non) sono tutto ciò che è” [5]. “Nachtraglichkeit è il nome con cui [Freud] battezza la sua ossessione”. “La più grande invenzione freudiana” in cui “il ‘prima’ è causato dal ‘poi’” e “il ‘dopo’ è causa del ‘prima’”. La Nachtraglichkeit mira persino oltre, ovvero a deflagrare la credenza del senso comune secondo cui ci sarebbe semplicemente un “prima” che si spieghi per mezzo di un “dopo”. Il tempo, con la Nachtraglichkeit, è fuori dai suoi cardini ma, nel medesimo movimento sovversivo, non è solo il tempo a uscire dai cardini, ma l’inconscio stesso a uscire dal tempo (Zeitlosigkeit). A gettare luce sul termine è stata certamente la pubblicazione, postuma, dell’epistolario tra Freud e Fliess, un vero e proprio laboratorio della Weltanschauung freudiana, nonché culla dell’apparizione dell’annoso sostantivo: lettera del 14 novembre 1897. [6]
In una prospettiva diversa, la nozione di posteriorità potrebbe richiamare anche una concezione della temporalità posta in primo piano dalla filosofia e ripresa dalle diverse tendenze della psicanalisi esistenziale: la coscienza costituisce il suo passato, ne rielabora costantemente il senso in funzione del proprio “progetto”.[7]
Ma la concezione freudiana è molto più precisa. Non è il vissuto in generale che è rielaborato posteriormente, ma soprattutto ciò che, al momento in cui è stato vissuto, non ha potuto integrarsi pienamente in un contesto. (…) La rielaborazione posteriore viene precipitata dal sopraggiungere di eventi e situazioni o da una maturazione organica che permettono al soggetto di accedere a un nuovo tipo di significati e di rielaborare le sue esperienze precedenti.[8]
Perché Giovanni è chiamato il “precursore”?
Perché con la azione profetica e la predicazione annuncia la venuta di Gesù. Dopo la giovinezza, Giovanni si ritirò a condurre la dura vita dell’asceta nel deserto. 



Nell’ anno quindicesimo dell’impero di Tiberio (28-29 d.C.), iniziò la sua missione lungo il fiume Giordano, con l’annuncio dell’avvento del regno messianico ormai vicino, esortava alla conversione e predicava la penitenza.
Da tutta la Giudea, da Gerusalemme e da tutta la regione intorno al Giordano, accorreva ad ascoltarlo tanta gente considerandolo un profeta; e Giovanni in segno di purificazione dai peccati e di nascita a nuova vita, immergeva nelle acque del Giordano, coloro che accoglievano la sua parola, cioè dava loro un Battesimo, da ciò il nome di Battista.
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.[9]
Giovanni rende testimonianza a lui e proclama: “Questi era colui di cui dissi: “Colui che viene dopo di me ebbe la precedenza davanti a me, perché era prima di me”.[10]
Chi sei tu allora? Cosa dici di te stesso? “Io sono la voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia”.[11] Non sono io il Cristo, ma sono colui che è stato mandato davanti a lui[12].
Vediamo il controcampo della scena in Matteo[13]
13 In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. 14 Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?». 15 Ma Gesù gli disse: «Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia». Allora Giovanni acconsentì. 16 Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. 17 Ed ecco una voce dal cielo che disse: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto».
Tornando al sintagma alternato con Giovanni (I: 25-31):
«Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». 26 Giovanni rispose loro: «Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27 uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo». 28 Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
29 Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: «Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! 30 Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. 31 Io non lo conoscevo, (…)[14]
Da quel momento Giovanni confidava ai suoi discepoli “Ora la mia gioia è perfetta. Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3, 29-30).  
“Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?” e Gesù: “Lascia fare per ora, …”[15].
“Lascia fare per ora” non è solo deferred action per indicare la retroattività. Apre al futuro anteriore. Non ci sono né recriminazioni da parte di Giovanni, né ulteriori spiegazioni da parte di Gesù, c’è un atto di fiducia rinnovato, e forse questo è il battesimo in cui si immerge Giovanni, si immerge in un atto di abbandono e di fiducia radicali in Gesù e nella sua volontà, nella sua parola[16].



Giovanni sta alla cerniera tra Antico e Nuovo Testamento, è l’ultimo dei profeti dell’antica alleanza e il primo a proclamare il Vangelo (cf. Lc 3,18): è lui il sigillo della continuità della fede, è lui il testimone della Legge e dei Profeti, e nel contempo l’annunciatore e il testimone di Gesù Cristo. Tutto il Nuovo Testamento è concorde sulla sua identità e sulla sua missione di precursore, ma il vangelo “altro” ce lo presenta con tonalità particolari, peculiari. Giovanni entra in scena nel prologo del quarto vangelo. Dopo aver rivelato colui che era fin dal principio rivolto a Dio e messo in evidenza la contrapposizione tra la luce e le tenebre (cf. Gv 1,1-5), in modo brusco e inatteso il testo annota: “Venne un uomo mandato da Dio. Il suo nome, Giovanni”. Un uomo: Giovanni è un uomo, senza alcuna qualifica di appartenenza sociale o religiosa. Si tace il suo essere venuto al mondo da una famiglia sacerdotale, si tace la sua provenienza. Egli è un uomo presentato in modo spoglio, del quale importa solo dire che è “inviato da Dio” e, subito dopo, “testimone “. Ecco la sua vera qualifica: un inviato, un profeta e un testimone, dunque servo solo di Dio. A lui spetta di testimoniare riguardo alla luce venuta nel mondo, questa è la sua missione: chiamare tutti a credere alla luce e a uscire dal dominio delle tenebre.
Nel quarto vangelo, inoltre, Giovanni si definisce ed è definito soprattutto in modo negativo, ossia in riferimento a ciò che non è: è inviato da Dio, ma non è la luce, bensì soltanto il testimone della luce. Perché questa insistenza? Perché ancora nell’epoca in cui questo vangelo è messo per iscritto vi sono alcuni che si rifanno al Battista, contrapponendolo a Gesù. D’altronde egli fu una figura profetica carismatica, con molto seguito e risonanza. Non si dimentichi che di lui abbiamo notizie da numerose fonti giudaiche, cosa che non si può dire di Gesù. Qui dunque l’evangelista sottolinea la differenza radicale tra il profeta, un uomo, e il Figlio di Dio venuto nel mondo.[17]
C’è un verso di una poetessa tedesca, Hilde Domin, poco conosciuta in Italia, ma bravissima e parzialmente tradotta da Gio Batta Bucciol (grazie all'opera meritoria di Gianni Scalia che in quegli anni andava disegnando quel gioiello di collana editoriale chiamata "in forma di parole"). Dice così: Vertrauen, dieses schwerste ABC. Ovvero, “ABC. Fiducia questo difficile alfabeto”.[18]
Ecco la domanda, per come se la pone Hans-Georg Gadamer:
"si deve proprio apprendere la fiducia? Si può apprenderla come s'impara a scrivere? Come se uno potesse vivere senza fiducia; nell'altro che uno capisce, nelle parole che tutti conoscono, nel mondo che c'è in loro? Eppure qui la fiducia è definita come qualcosa che si deve apprendere e dall'inizio. Come può essere andato perduto quest'elemento semplicissimo che sta alla base di tutto ciò che dura nella vita, di ogni discorso durevole: l'ABC. Lo si può semplicemente reimparare? Come qualcosa di cui non siamo esperti o che abbiamo disimparato?” Così scriveva Gadamer nel 1982.[19]

Andrea Solario, studio per la testa di Giovanni Battista


[1] Maurizio Balsamo, “Come si traduce “Nachträglichkeit” in italiano?”, in Forme dell'après coup, Franco Angeli, 2009

[2] Freud S. (1887-1904). Lettere a Wilhelm Fliess. Torino, Boringhieri, 1968, p.236

[3] Dalla storia di una nevrosi infantile. O.S.F., 7., pag.521
[4] Problematiche VI, L’après-coup, La Biblioteca, Roma-Bari, 2007
[5] Alessandra Campo, Tardività, Freud dopo Lacan, Mimesis, 2018
[6] Gioele P. Cima, “Il tempo è fuori dai cardini”, in http://www.psychiatryonline.it/node/7388, 4 giugno 2018
[7] Jean Laplanche, J.-B. Pontalis, Enciclopedia della psicanalisi, Laterza, 1973
[8] Jean Laplanche, J.B. Pontalis, op.cit., p.390
[9] Giovanni,6-8

[10] Giovanni, 1, 25-31
[11] Giovanni, 1, 23
[12] Giovanni, 3, 28
[13] Matteo, 3, 13-17
[14] Giovanni I: 25-31
[15] Gesù con questo sorprendente inizio della vita pubblica ci rivela la sapienza della vita: lasciare che sia Lui a guidare, a condurre e a portare a termine ciò che le nostre povere forze sanno solo iniziare senza concludere. L’invito è quello di imparare a consegnare la propria vita nelle mani di qualcun altro. Così ha fatto Gesù dall’inizio alla fine della sua vita: ha lasciato fare il Battista, gli uomini e il Padre. Questo “lasciar fare” che si realizza nell’incontro tra due uomini è anche un esempio di obbedienza reciproca: Gesù si sottomette all’immersione di Giovanni e Giovanni accetta di immergere Gesù. L’obbedienza, come atto libero di comunione e di reciprocità, permette il compiersi della volontà di Dio, ossia la “giustizia”. https://www.fratiminori.it/49-commento-al-vangelo/728-lascia-fare-per-ora  “Giovanni è uno di quegli uomini della soglia che guidano fino a un confine, a un limitare e poi si fermano; aprono la strada, indicano la via, ma poi hanno la forza di arrestarsi e di lasciare il passo ad altri, un po’ come Mosè che non entrò nella terra promessa ma la indicò al suo popolo e lui la intravvide solo, dall’alto del monte Nebo. Giovanni, dirà il quarto vangelo, è l’uomo capace di diminuire, e diminuire nella gioia (Gv 3,28-30) di fronte a colui che viene dopo e dietro a lui”. Luciano Manicardi, https://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/13595-la-fiducia-che-lascia-fare
[16] Luciano Manicardi, Ivi,  Matteo ci presenta un evento di reciproca obbedienza tra Gesù e Giovanni. Vi è qualcosa di straordinario in questo incontro. Giovanni obbedisce a Gesù facendo ciò che non vorrebbe, e Gesù obbedisce a Giovanni sottomettendosi al suo battesimo. Straordinario perché avviene tra due uomini, due maschi, due celibi, due personalità forti, due uomini di Dio. In quella reciproca sottomissione vi è una libertà e una maturità che su di essa si posa il compiacimento di Dio. L’amore che essi mostrano è un amore amato da Dio, un amore umano così largo e profondo che diviene spazio di rivelazione e di conoscenza dell’amore di Dio. Nessuna gelosia, nessuna invidia, nessuna rivalità tra i due, ma riconoscimento reciproco e accoglienza reciproca, anche del rispettivo ministero.
[17] Enzo Bianchi, 17 dicembre 2017, Terza domenica di Avvento, https://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11988-giovanni-uomo-mandato-da-dio

[18] Hilde Domin, trad.it di Gio Batta Bucciol,"In forma di parole", nuova serie, anno primo, numero secondo, Marietti, 1990.
[19] Hans-Georg Gadamer, “In forma di parole”, op.cit. (p. 214).



domenica 19 luglio 2020

Il Precursore


Il precursore. 
Un estratto dal film di Omar Pesenti


Mons. Viganò, assessore del dicastero per la comunicazione della santa sede, col piglio dell'uomo di marketing, lascia trapelare una progettualità su i secondi, sui numeri due. Infatti è possibile rintracciare nel web un titolo provvisorio "il numero 2, l'anticipatore". Quando finalmente s'imporrà "il precursore", vale a dire 55 minuti di film-documentario, o forse di docu-drama, che contiene numerose sequenze di animazione che lo rendono più appetibile ai bambini e - perché no - alla catechesi. Con la suadente pacatezza di Ravasi, pur sapendo quanto poco si ottenga dal trarre una morale dalla storia, "Battista ci ricorda che il centro non è lui ma Cristo", un decentramento, una frase d'insegnamento per genitori ed educatori, che devono fare in modo che l'altro cresca e sia il vero attore del futuro. Dice Giovanni (3,30): «io devo diminuire e lui crescere». Assunto di base e interdipendenza ovviamente nelle corde, e nel cuore, di Papa Francesco.