venerdì 25 dicembre 2020

Moto ondoso, 8 dicembre 2003

Se non ci fossero disgrazie, non ci sarebbe niente da raccontare.
Raymond Queneau, Una storia modello, Fratelli Fabbri Editore, 1973 (Gallimard, 1966)
A chi l’Iraq invece lo aveva nella testa e nella pancia (Enzo Baldoni avrebbe scritto “panza”) ma i cui viaggi erano immancabilmente mentali.




Non ricordo quasi niente di “acquasottoilponte” e del suo precursore rabbioso “moto ondoso” (tanto “se ti rileggi, non ti troverai - scriveva Joe Bousquet - segno che le tue parole non hanno comunicato evidentemente l’impressione di cui ti liberavano”). So che era uno studente del primo ciclo del corso di laurea in Filosofie e Scienze della Comunicazione e della Conoscenza dell’Unical. So che seguì i miei corsi di Linguaggi pubblicitari con attenzione divertita. Ma so pure che, se avesse ragione Salvatore Rainò (strana figura di ricercatore, medico olistico, allergologo e omeopata di Altamura), è l’acqua che “sa tutto di noi”. 
Ad Acqua capita di mancare l’appuntamento telematico. Un post pomeridiano e una e-mail notturna di un tale Cangiullo (nick name che si fa schermo di un futurista napoletano) lo spronava a cambiare lo pseudonimo, a ribaltarlo in acquasoprailponte. Inserito alle ore 15.25 del 07-12-2003: ”(…) Sali sopra il ponte, camerata. Acqua, cambia il nome di Nicola! E' un ordine, H2O! Acquasottoilponte è passatista. Acquasoprailponte è futurista. Eseguire, sbrigarsi, essere veloci anche da fermi”. Un tentativo di aggancio tardivo. Quella notte “acqua” non è rientrato a casa. Di lui restano i suoi poetici interventi “digitali” nei forum legati a quel corso di laurea che lo appassionava, la sua idea di “pubblicare i pensieri, le parole che ci portiamo dentro”, così cifrando forse lo specifico della scrittura nel web così compromessa con l’oralità, una scrittura che è un parlare. Daniele Gambarara lo ricorderà qualche mese dopo con un minuto di silenzio nella cerimonia di proclamazione del conferimento della laurea, la prima in assoluta per questo corso di laurea. Si chiamava Emilio Santagata.
C’è un altro caso che mi tocca di persona e che mi spinge a qualche riflessione: “Condor33” un signore di 70 anni che abitava da solo circondato da tre televisori e da una stazione multimediale con web cam sempre accesa. Quando lo abbiamo ritrovato morto (la data era facilmente deducibile – con più precisione della scientifica - dall’ultimo ICQ, un software che ti informa in qualsiasi momento su chi si trova online permettendoti di contattarlo) ho chiesto al poliziotto di poter inviare un messaggio al suo amico forse ancora in linea: sono un vicino di casa di V. (Condor 33), non so come dirglielo ma V. non c’è più. Ho scoperto in seguito che il suo amico in ascolto, il suo migliore amico, era di Milano e che non aveva mai conosciuto di persona il suo “corrispondente” cosentino. Non potrei dire “de visu” giacché si scambiavano foto e avevano appuntamenti quotidiani in videoconferenza. Testi elettronici, foto digitali, che fine farà il suo sito, il suo blog? Agli umani, che evidentemente proprio macchine non sono (si veda in tal senso il libro di Giorgio Israel per i tipi di Bollati Boringhieri), si richiede di fare i conti con il o la (a questo punto non saprei) digitale purpurea: “una spiga di fiori, anzi di dita / spruzzolate di sangue, dita umane”. Il web cambia il senso della morte nella nostra epoca. E non perché sia in diretta. Ciò che punge è la sua precisione nella documentabilità. Dalle nostre parti questo dato convive con l’indifferenza e con l’isolamento di epoca arcaica. E’ ancora recente il rinvenimento, in un paese a 10 chilometri da Cosenza, di un vecchio a tre o forse quattro giorni dalla morte. Il web cambia soprattutto il senso dell’ospitalità. Le comunità telematiche finiscono col rappresentare la seconda casa – e a volte la prima – dei senza comunità. Questo succede perché il tempo abitato dagli uomini ha una natura etica e logica. Non può essere solo cronologico. Una sua tripartizione funzionale ancora utile (quella di Jacques Lacan che definire psicanalista è un po’ poco) scandisce così: istante di vedere, tempo per comprendere, momento per concludere. Fine delle trasmissioni.