lunedì 24 maggio 2021

Le barchette di Gigi e quella di Gherardo

 

Scalabili

Scalabili
Partiti, barchette e soldatini

di Massimo Celani

Kim Jong-un: un dittatore sanguinario che è in guerra con tutto il mondo, soprattutto il mondo dei parrucchieri. (Maurizio Crozza)

Ma se lo uccidiamo non troveranno un nuovo tipo cicciotto con i capelli da scemo con il quale rimpiazzarlo? (The Interview)
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Manuale, tascabile
A mo’ di riflessione di fine anno (ammetto una certa finalità preterintenzionale che potrebbe risultare benefica o comunque edificante) annoto la nozione di scalabilità.
Da giovane, svogliato e ciuccione come tanti, ho maturato un sentimento di riconoscenza per dei volumi di piccolo formato, “manuali” nel senso che stavano in mano e dunque erano pure “tascabili”, insomma piccoli ma curatissimi, pocket coffee, scatolino di sorprese, di gioielli che mi arrivavano per posta. 





“Il catalogo” era l’iniziativa editoriale made in Reggio Emilia che, con sommo anticipo su Amazon, dava senso alla buca delle lettere. Strumento fondamentale che chiudeva il cerchio di Elitropia e della collana “In forma di parole”. Modo sintetico per una restituzione grata (Gianni Scalia Santo Subito e causa di beatificazione per Marco Belpoliti) a chi mi trasmise l’amore per la lettura e la traduzione, oltre a condurmi nel deserto di Edmond Jabès fino a quel momento sconosciuto. Una grandezza fuori scala, che non necessitava di tomi (salvo recuperarne il senso nella partizione: Libro Primo, Libro Secondo anche quando possedevano l’ingombro dei soldatini). 


Poi più niente, la cassetta postale ha perso di senso. Fino a ridursi (questa sì una riduzione in tutti i sensi) a dialogo con Enel, Enigas, Telecom e Agenzia delle entrate. Mai che qualcuno m’invii una cartolina. Insomma, ho nostalgia del cosiddetto “piego” di libri, di quei libri di piccolo formato e di ciò che con un Garamond piccolissimo si ammoniva in esergo: “MANUALE – Titolo che si dà a certi libri e compendii, per annunziare che se ne dee far uso frequente, e averli sempre, per così dire, alla mano”.

Dunque, dicendo scalabile, non sto evocando l’ascensione, se non in via metaforica e ultraterrena, degli scrittori scalatori come Erri De Luca o Mauro Corona. Con tutto il rispetto, non mi riferisco alle immensità e alla purezza dell’Altissimo. Poiché il Male può provenire sia dall’alto che dal basso, mi colpì molto l’impulso a confessare renziano, che – riuscitissimo quanto solo un atto mancato sa essere – un giorno ammise di essersi accorto un giorno che “il PD era scalabile”.  Enunciato da far rabbrividire anche a bassa quota e che evidentemente è sfuggito al bravo e infatuato psicanalista che oggi teorizza sulle altezze del jobs act. Scalabile un partito? Era la prima volta che sentivo una cosa del genere. Il partito di Gramsci, il cui organo di stampa era L’Unità (che correttamente uno studioso come Carlo Finale definiva “quotidiano di metafisica”), era scalabile, vale a dire incanalato sull’asse metaforico finanziario. Per quale grandeur un gruppetto di arguti giovanotti toscani poteva arrivare a concepire un pensiero del genere? Non c’era bisogno di Leopolda (scarto e scala dei treni in miniatura), da lungo tempo Renzi è avec Serra. Non come Kant con Sade o Lacan con Gesù bambino. E Massimo Recalcati ha buon gioco a intendere che l’OPA ostile sul PD mal si concilia con la fantasmatica del sacrificio.  Salvo sacrificare un partito a causa di un Ego XXL. Con poco Telemaco e nessuna evaporazione del padre.

"La Leopolda del 2011 mi ha fatto capire che questo Paese era scalabile, so che questo termine creerà polemiche ma lo dico: per anni ci hanno raccontato che l'Italia era un paese chiuso, eppure giorno dopo giorno ci rendevamo conto che si potevano cambiare le cose sul serio"[1].
Chiarisce qualche mese appresso Ezio Mauro, la formula di «un partito forte perché scalabile, robusto e nuovo perché contendibile, che sappia aprirsi alla società e accetti di correre dei rischi pur di portare all’interno la montagna di energia democratica che c’è nel paese».  

Eh già, le montagne a volte sembra stiano lì per essere scalate.
Insopportabile l’eco del capitolo XXVI del Principe (Esortazione a liberare la Italia da’ barbari): Non si deve adunque lasciar passare questa occasione, acciocché la Italia vegga dopo tanto tempo apparire un suo redentore.
Non avendo precisamente le physique du rôle del redentore, l’idea renziana di scalabilità confessa dunque una capacità di cogliere l’attimo concesso dalle circostanze, per appropriarsi del comando, un’idea di politica come occasione da non perdere. Con il termine scalata si indica infatti, in ambito economico, l'acquisizione del pacchetto azionario di controllo di una società per azioni da parte di un imprenditore o di un'altra società[2]. Oppure, un hapax legomenon di un giovanotto volitivo, tenace e combattivo[3]. Con un corollario: "la terza legge di Parkinson vi assicura il successo purché siate un uomo assolutamente mediocre."[4]

Il nostro piccolo picconatore si presenta dunque come alter ego del finanziere di Algebris, vale a dire come raider che cerca di capire se la ditta si trova in una crisi strutturale (e quindi è da smembrare o da non acquistare), oppure se si trova in una crisi congiunturale, potrà essere salvata. Il raider valuta gli "asset" dell'azienda da acquistare, gli impianti produttivi, i brevetti, la capacità imprenditoriale dei dirigenti, gli immobili, le potenzialità del mercato, la disponibilità di personalità note ad agire come testimonial positivi, federatori e intermediari (Prodi, Veltroni, Fassino). Isotopiche risultano così sia le nozioni di "rottamazione" (quest'ultima rubata all'industria automobilistica), sia quella di "Ditta" (usata da Bersani con somma ironia e certo con più rispetto dell’intertestualità concentrata nella tradizione, tessuta nel canone, negli slittamenti PCI, PDS, la cosa, l’Ulivo, PD).  Come non tener conto di tale scenario tutto sommato economico-finanziario alla luce degli esiti di questi giorni, di abbandoni e scissioni, di voci sagge che consigliano al Segretario di “farsi un partito (tutto) suo”? Detto in altro linguaggio, il raider era molto poco etico e aveva messo in conto lo smembramento e la dismissione di alcuni asset. In primis quello che caratterizza in via fantasmatica l’essere “di sinistra”.  Con la ripercussione reale, impossibile a dirsi, di doversi cimentare con un’agenda setting tra un “la sicurezza è un concetto di sinistra” e un “aiutiamoli a casa loro”, tra un giglio magico e un Marco Minniti, tra gli 80 euro e un bonus, di un partito sempre più reazionario.

Fuori scala


"Voce del mare soffocata. Voce della sabbia sommersa".

Era il 4 febbraio del 2003 quando il cargo - che proveniva dalla Cina, batteva bandiera caraibica e portava il nome di un fiore orientale (il gelsomino) - si incagliò nelle acque di Salerno, all’altezza del lungomare di Torrione. Le condizioni meteo erano pessime: vento, pioggia e mare forza nove, visibilità ridotta e difficoltà a tenere la rotta per tutte le imbarcazioni. Il comandante si era posizionato nella rada di Salerno, in attesa di ricevere il via libera per entrare nel porto, quando i marosi hanno trascinato la nave fino a riva, incagliandola nei fondali bassi e sabbiosi del nostro litorale.

Dall’altro di via dei Renzi, nel rione Canalone, l’immagine guardando verso il golfo in direzione sud era impressionante: sembrava che la nave lambisse le case, con la chiglia proiettata fin quasi alla palazzata. Agli inizi sembrava una semplice disavventura di mare, come ce ne sono tante, ma quello della “Yasmina Kingstown” divenne un vero e proprio caso (,,,)

(adnkronos 05/11/2017 11:11)

E' sbarcata poco dopo le 9 al porto di Salerno la nave Cantabria con a bordo circa 375 migranti e i corpi senza vita di 26 donne, morte durante il viaggio nel Mediterraneo.
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La Yasmina a Salerno

Donne chiuse nel ghiaccio e arrivate a noi dal passato
di Rino Mele07 novembre 2017
Con una nave militare spagnola, chiuse nel ghiaccio, sono arrivate come archetipi femminili, dopo l’inferno in Libia e la morte nel Mediterraneo. Approdate sulla spiaggia di Salerno sono diventate salernitane (è accaduto innumerevoli volte: Palinuro timoniere della nave di Enea, era giunto con l’eroe troiano lungo le coste della Campania, ma viene addormentato da un dio - proprio lui, il cangiante Somnus - e sbalzato nelle onde notturne, lo racconta Virgilio nel V libro dell’Eneide. Così, questo marinaio dell’asia Minore, divenne - morendovi - campano, gli fu data la cittadinanza, usufruì in qualche modo particolare - sprofondando a testa in giù - dello ius soli e diede il suo nome alla terra su cui alla fine giacque sbattuto dalle onde). Perché morire è come nascere: ti dona un’appartenenza definitiva. Sarebbe coraggioso renderle salernitane davvero, queste 26 giovani donne nigeriane, dar loro la nostra cittadinanza: un gesto inimmaginabile. I medici legali, gli specialisti che hanno avuto l’incarico per l’autopsia, si troveranno di fronte a una morte in ogni caso violenta, ripetuta ventisei volte: dovranno rispondere a molte domande, ricostruire di quelle vite la straziata fine. Tutte insieme, come una costellazione, fuggivano da una loro pena, hanno pagato 6000 dollari, ognuna, per venire a morire in Europa; e non sapranno mai che l’Europa non c’è e ha un superbo sterile sguardo. Sono partiti, i migranti sbarcati dalla nave “Cantabria", dalle coste della Libia, da Zwara in Tripolitania. Cosa sia Zwara l’abbiamo appreso un paio di mesi fa. In un reportage di “Avvenire” del 3 settembre, si parla di Zwara come dello schifo del mondo, orridi lager, un bruttum e inaudito, “il buco nero delle prigioni clandestine libiche ha numeri da Terzo Reich”. I campi di concentramento non stati chiusi mai del tutto, ne scopriamo dovunque nuove tracce. Sappiamo che ci sono e, per tener pulita la nostra coscienza, fingiamo di non vederli. Le torture in Libia, la morte in mare, l’Europa sempre lontana.

 10 anni dopo Yasmina
§



Ricordo Ugo Battista, l'uomo più alto delle Alpi Marittime, strappato dal suo lavoro di boscaiolo ed esibito in tutte le città della Francia. Attrazione italiana dei Padiglioni delle Meraviglie, spacciata come francese, poi emigrato a La Merica, causa crollo dell’audience, per morirci giovane e triste (Nico Orengo, Figura gigante, Serra e Riva Editori, 1984).

Aveva pensato all'America come alla terra dei Giganti, dove tutto è grande, dove tutto è alto: case, automobili, teatri, luna park. Aveva pensato all'America come alla terra della Libertà, molto prima di entrare in porto, dove sapeva che una signora bianca, madre di tutti i Giganti, di qua e di là dall'Oceano, gli avrebbe sorriso e illuminato le strade fra i grattacieli.
Sulla nave aveva sentito cantare: «Trenta giorni di nave a vapore, fino in America noi siamo arrivati ... » e anche «Cristofiru Culumbu, chi facisti? La megghiu giuventú tu rruvinasti. Ed eu chi vinni, mi passu lu mari cu chiddu lignu niru di vapuri... »

Ma lui avrebbe evitato l'inferno di Ellis Island, aveva un contratto. (...) A New York era febbraio. (...) Ugo Battista si dispiace che ormai francese e dialetto gli facciano miscela in testa.



"Ho contato mentalmente nel buio le costole. Mi sono soffermato su ciascuna di esse e su tutte insieme. (...) Devo rendere semplice e leggera l'esibizione. Da oggi ho deciso di non mangiare più, bevo e respiro soltanto. Ho paura di fallire e vorrei rimandare il debutto, ma l'impresario me lo impedirà. Lui possiede la determinazione di cui io sono privo. (Marco Belpoliti, Confine. Vite immaginarie del clown, Elitropia Edizioni, 1986, pp. 8-9). 



Flotta

"Un suono emesso – emesso da chi? – e poi nulla. Una parola – scritta da chi? – e poi un bianco. Ascoltare quel nulla. Leggere quel bianco”.

Da un lato, l’effimero chiarore di una lampada; dall'altro, l’ignota oscurità.[5]


ph. Franco Paternostro


Cosa c'è di più semplice di una barchetta di carta? Eppure la sua costruzione è frutto di sequenze, origami docet, di algoritmi di pieghe.
La testa va a “in scala” come lo si direbbe di un trenino Rivarossi, Marklin o Lima. Oppure a Gianfranco Pugliese che disegna con la Bic su fogli grandissimi[6].




Nelle Pagine di Spuren dedicate allo stupore Ernst Bloch collega in modo tradizionale la figura della meraviglia al tema dell'inizio della filosofia ma obietta che si presta attenzione a ciò che avviene nello stupore ma non a ciò che avviene come stupore. Lo stupore è evidentemente testimone dell'inizio del mondo. Una flotta di barchette di carta è un buon inizio. E l'arte e la filosofia non fanno altro che salvaguardare tale indicazione dell'inizio, tale quiete anticipata propria dello stupore. Il tutto dello stupore rimette in gioco perennemente la prima volta come identità stessa dell'Uno[7]. Dunque è parlante prim'ancora di parlare.



lo sbarco a corso Telesio



Sembra che gli indigeni della terra del fuoco non vedessero all'orizzonte le navi di Magellano. Forse perché non avevano l'idea, il concetto di nave. Stessa riflessione mitopoietica per le Caravelle di Colombo. Difficile da stabilire una cosa del genere, bisognerebbe chiedere a Ruggero Pierantoni (Salto di scala)
Nel suo ultimo libro[8] siamo invitati a dotarci di un righello per misurare in millimetri l’altezza di uomini raffigurati su di un mosaico di Thera o sui resti di un muro dell’antica Roma; l’archeologia recente ha conosciuto una discussa “svolta metrologica”, per la quale sembra rilevante solo quel che è cartografabile sul terreno e riducibile all'anonimato della misura.

“Veniamo così coinvolti in un viaggio avventuroso che attraversa le epoche, i continenti, le arti e le scienze. Finiamo così per transitare più volte fra le due sponde dell’Atlantico, seguendo “colossi” come la statua della Libertà, o le assonanze fra il progetto di Suger, l’abate di Saint Denis del XII secolo, e Gutzon Borglum che nel 1927 inizia a trivellare il Mount Rushmore per scolpirvi i volti di presidenti statunitensi”.

Ma "le misure sono parole"? Se lo chiede sulla soglia del libro Pierantoni.
Ulisse ormeggia prudentemente la sua nave fuori dal porto, Rovella parcheggia la flotta nel Mam e al massimo per corso Telesio. 

“Bisogna imparare a scrivere con parole inzuppate di silenzio”[9].


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Stupore generato da un cambio di scala, dal monumentale al millimetrico e contemporaneamente da un cambio di tempo, da quello adulto al tempo dell'infanzia. 
Magia del downsizing alla quale non è estranea la tradizione cristiana. Pino Stancari s.J. glossa così la lettura di San Paolo :

 “Nostro Signore Gesù Cristo è il sì, l’amen, il farsi piccolo di Colui che è grande. Piccolezza dell’incontenibile”.




Wells e le guerre sproporzionate

Gigi, tu che sei grande e grosso e saggio, dillo tu a Kim Jong-un[10] - che forse mai ha giocato con le barchette di carta o coi soldatini - di star calmino. 





Gioca con lui, mostragli i tuoi raffinati oggetti luminosi in metacrilato, non d’idrogeno o uranio arricchito. Portalo con te nel tuo laboratorio, mostragli il senso della misura. Sproporzionato è il suo sorriso, la sua gioia demente quando applaude tra mille risolini il lancio del missile[11]

Cosa c'è di più semplice di una barchetta di carta? Eppure la sua costruzione è frutto di sequenze, origami docet, di algoritmi di pieghe.
Come nota Perrella a proposito del detto di Protagora, l'uomo è il metro, nel senso di metrica, del poema delle cose, “e il loro tempo”[12]. Misura che non può essere misurata perché atto stesso del misurare. Allo stesso modo “non ci si può fare un concetto del tempo. Kant lo ha dimostrato una volta per tutte: spazio e tempo non sono concetti, perché sono invece il presupposto (la "forma pura") di ogni concettualizzazione (…) I concetti che cosa sono, in fondo? Quando abbiamo, veramente, concetti? Solo se li troviamo e li modifichiamo”[13] (p.85).



Una cosa è la suggestiva e - diciamo – preontologica esperienza dell'essere guardati dalla luna; altra cosa è concretamente essere guardati dagli uomini, dagli astronauti che hanno potuto godere di quel privilegiato punto di osservazione panoramico. “Dalla luna la terra appariva come un oggetto piccolo e fragile. Oggi so dell'effetto serra e di come si stia deteriorando l'atmosfera. E penso con sgomento a quel senso di fragilità che ho potuto vedere.” (Michael Collins). “La terra sembrava spaventosamente piccola, inerme.” (Buzz Aldrin). “La nostra atmosfera vista dallo spazio era sottilissima. Mi atterriva la sua immagine così precaria.” (Ulf Merbold).


"Quel che ci rimane è solo la sua parte bianca, e non si tratta di utilizzarla, ma solo di tollerarla. 
Lì dobbiamo installarci."

"Accettare il vuoto, il nulla, il bianco. Tutto quel che creiamo è dietro di noi".

Le testimonianze degli astronauti convergono tutte sul senso di relatività e di caducità, oltre a evidenziare la necessaria distanza per giudicare verità e grandezze, tant'è che finiscono con l'ispirare il titolo del pezzo da cui sono tratte: “Com'era vera quella terra fragile vista dalla luna”, Gianni Riotta in ‘Il Corriere della Sera’ del 16 Agosto 1989. A parte il ribaltamento del punto di vista, il capovolgimento del cannocchiale, relaziona e relativizza la distanza alla grandezza, comportando un'inevitabile e comune potentissima sensazione di Vergänglichkeit (manco fossero Freud, Rilke e Salomè), che vien da chiedersi che fine abbia fatto tutta la sicumera che supponiamo derivi dal credo militare e tecnologico oltre che da un'illusione di dominio intergalattico. Più precisamente occorrerebbe distinguere tra una distanza in quanto determinata dalla grandezza e una grandezza in quanto determinata dalla distanza. Questione già esplicitata da Kant che annota l'indicazione da Nicole Savary circa l'osservazione delle piramidi egizie. “Se ci si avvicina troppo - è quanto deduce Marco Belpoliti[14], seguendo Kant e Piranesi - l'effetto di grandiosità si accresce eccessivamente sino a schiacciare l'osservatore; se ci si allontana troppo esso sfuma fino a negare il senso stesso del monumento”. Sullo stesso tema così annotava Pascal: “una città, una campagna, da lontano sono una città e una campagna; man mano che ci si avvicina, sono case, alberi, tegole, foglie, erbe, formiche, infinite zampe di formica”. Così la luna da parziale o totale rotondità diveniva ‘Mare della tranquillità’, vulcani, crateri, poi sassi, poi polvere; mentre la terra - nel tragitto contrario - diveniva tetti, case, città, regioni, poi - dalla luna - solo una in(de)finita immagine di fragilità. Le questioni di visione, di ribaltamento dei punti di vista e di giusta distanza, sono evidentemente i motivi ricorrenti della ricerca scientifica come di quella letteraria e filosofica, oltre che gli spunti che hanno provocato l'invenzione degli strumenti quali gli occhiali (magari quelli di Proust), il cannocchiale, il telescopio. Ma questi non hanno sgombrato il campo alle incertezze, non sono stati risolutivi, contribuendo oltretutto a consegnare la conoscenza alla capacità di visione. Per di dirla con Galileo, “...che quello che è distante, verbigrazia, nove miglia ci apparisce come se fosse lontano un miglio solo. (...) E la difficoltà dell'intendere come si formi il canto della cicala, mentr'ella ci canta in mano, scusa di soverchio il non sapere come in tanta lontananza si generi la cometa”. Continua frustrazione scientifica nel perenne tentativo di accorciare le distanze: “ogni distanza vinta: nondimeno sempre da percorrere?”. Trent'anni dopo subentra una certa confidenza e Paolo Nespoli, in collegamento (registrato il 17 novembre 2017) dalla stazione spaziale, gioca con l’assenza di gravità e si mostra irenico e pure molto ironico. [15]  Si susseguono le albe, i tramonti, i giorni, le notti. E’ una rotazione continua e i time-lapse fanno il resto:


[...]
Rotonda è la terra a forza di girare su se stessa.
Il vuoto che l’ha modellata, la voleva così.
La rotondità è frutto della pazienza. Ogni segno
cedendo alla curva.[16]

I ciottoli stessi son sassi arrotondati. Chi li arrotonda?[17]



Il gioco dei soldatini ci spiega nitidamente la stupidità delle guerre passate, per quelle future non abbiam speranze: sappiamo solamente che saranno peggiori, sotto ogni punto di vista. Qui arriviamo al grande problema di ogni ideatore di regole per il gioco dei soldatini, che anche Wells deve affrontare: le guerre non solo sono stupidaggini, sono stupide e noiose in sé[18].
“Il mio gioco è buono quanto il loro, e più assennato per via della misura. Questa è la guerra, ridotta a proporzioni ragionevoli (…). Dovete solo giocare tre o quattro volte a Piccole guerre per capire che idiozia dev'essere una grande guerra. La grande guerra è oggi, ne sono convinto, non solo il gioco più costoso dell’universo, ma soprattutto un gioco fuori da tutte le proporzioni. Non solo le masse di uomini e materiali, le sofferenze e i danni sono troppo mostruosamente grandi per essere ragionevoli; le migliori teste che abbiamo non sono all'altezza. Credo questa sia una conclusione pacifica: le Piccole guerre ti danno modo di arrivarci come niente che non sia la grande guerra è in grado di fare”[19].


Luigi Rovella

THE FLIGHT OF MEMORY
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(dicembre 2017)

Tag: scalabilità, in forma di parole, Gianni Scalia, Marco Belpoliti, Elitropia, manuale, Ruggero Pierantoni, Matteo Renzi, PD, Luigi Rovella, PMMA, MAM, Cose