domenica 4 agosto 2019

A distanza di tempo: su "Scienze della comunicazione"




Uno sbaglio che rifarei mille volte

di Massimo Celani

Stiamo parlando del corso di laurea più denigrato, insultato, sottovalutato della storia universitaria italiana.
"Abbiamo bisogno di ingegneri, abbiamo bisogno di tecnici importanti. Una sola preghiera: non vi iscrivete a scienze della comunicazione, non fate questo tragico errore, che paghereste per il resto della vita!" tuonò Bruno Vespa a “Porta a Porta”. Anche l'ex ministro Maria Stella Gelmini, in più occasioni e con sicumera, affermò che "Scienze della Comunicazione non aiuta a trovare lavoro, perché purtroppo sono più richieste lauree di tipo scientifico, lauree che in qualche modo servono all'impresa".
Una replica documentata sullo stereotipo dell'inutilità di un corso di laurea del genere, venne da Giovanna Cosenza su DIS.AMB.IGUANDO (un blog per studiare fare disfare comunicazione) nel 2011, forte dei dati di Almalaurea e in particolare del report "Laureati per comunicare" di Andrea Cammelli (Direttore Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea). Insomma, i laureati del 2004 in Scienze della Comunicazione, a cinque anni dalla laurea, lavorano nell’87% dei casi, mentre la media nazionale è dell’82%. Anche i neolaureati triennali in Scienze della Comunicazione del 2008 lavorano più della media nazionale: 49% contro 42,4%. Quanto alle lauree specialistiche nel settore della comunicazione (Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo, Pubblicità e comunicazione d’impresa, Teoria della comunicazione, Scienze della comunicazione sociale e istituzionale), anche qui i dati confortano i comunicatori: 60% di occupati nel settore della comunicazione, contro il 57% della media nazionale. In altre parole, esternazioni superficiali, stereotipi e pregiudizi, diffusi amabilmente da ministri e politici di vaglia. Di fatto, anche se allo stato larvale, fake news.
Tutto ciò lo ricorda Simona Berterame, ad Agosto del 2013, sul blog dell'Huffpost. "Anche Romano Prodi aveva più volte fatto notare come l’alto numero di iscritti a Scienze della comunicazione rispetto alle facoltà scientifiche fosse indice di un cattivo rapporto tra la formazione e il mercato del lavoro".
Nel discorso di Cosenza - il 3 ottobre 2005 - in occasione delle primarie, è Prodi a stigmatizzare che "in tutto il Lazio ci sono meno di 5000 iscritti alle facoltà scientifiche (matematica, ingegneria, scienze naturali) e 16000 iscritti ad una sola facoltà di Scienze della comunicazione".  Alessandro Chiappetta, in Politicaonline.it (9 ottobre 2005)
Il fatto è che “i rumors, le dicerie, sono vecchi quasi quanto la storia dell’uomo. Ma con la nascita di internet sono diventati onnipresenti. Ne siamo sommersi. Le voci false e infondate sono particolarmente moleste, provocano un danno reale a individui e istituzioni e spesso sono refrattarie alle correzioni. Possono minacciare carriere, programmi politici, funzionari pubblici e a volte la democrazia stessa”
[1]. Op.cit. da Stefano Cristante, "Scienze della comunicazione tra insulti, emergenze e preveggenza", in “Rivista di Scienze Sociali”, (comunicazione e media) n.5, novembre 2012.


Rumors, insinuazioni, balle

E ora che la stessa logica imperversa, e non si tratta più di Prodi e Gelmini ma del “blog delle stelle”, di un politico senza scrupoli come Salvini, di una banda di giornalisti e blogger che gravitano intorno a il Giornale, Libero, La Verità, Panorama, Il Populista e Altaforte? Oggi che trionfano i migranti e i clandestini "percepiti", l'enfatizzazione della sicurezza e dei confini, le dicerie antisemite e più in generale le paranoiche invenzioni sulla filantropia di George Soros ("Radio Soros" - secondo i sovranisti che la sanno lunga - sarebbe Radio Radicale); i traffici - sempre supposti e mai provati tra scafisti e le ONG, Riace e Mimmo Lucano (quest'ultimo fatto fuori, nel totale disinteresse del PD, dalle bufale e – sia chiaro -dalla voce di una imminente pioggia di soldi). Persino l’odio nei confronti di Greta Thunberg, una sedicenne, laboriosa fino allo sfinimento nonostante sia affetta da un disturbo dello spettro autistico. A mo' di esempio, si veda il negazionismo climatico che si trova compendiato nel saggio – non a caso edito da Altaforte - “Greta e la pedolatria creata dalle élite”. “Anche se non è legittimato da un contratto di veridizione, il pettegolezzo non è però senza costrutto” - dice Paolo Fabbri - “un carattere eminente della voce è la sua insituabile origine. Suo tratto distintivo è l’assenza di corroborazione. Conosciamo bene i punti di diramazione, spesso luoghi pubblici, caratterizzati da incontri occasionali e fortuiti (file, luoghi d’attese impreviste, raduni collettivi, ecc.) tra attori socialmente disparati, ma non sappiamo la fonte, il primo destinante di cui tutti sono i virtuali destinatari. Non c’è mai un primo soggetto sparlante.[2].

“Non è inesatto dire che misuriamo il nostro comportamento sulla base del potenziale esistente per il pettegolezzo, cioè anticipando quel che “la gente” dirà di noi in senso positivo e negativo. Inafferrabili ed imminenti, i rumori si riferiscono ad una fonte prossima (famiglia, conoscenti, luoghi familiari, incontri fortuiti) ma che si sottrae all’indagine”[3].

“(...) Si prenda il tema delle migrazioni. Basterebbe citare solo l’erronea percezione diffusa in Italia che il numero degli arrivi sia enormemente superiore a quello reale, per avere la misura approssimativa di un panico onnipresente. Come Freud argomenta nelle sue riflessioni sulla psicologia delle masse, il panico è l’espressione di una psiche collettiva che tende ad abolire se stessa. L’accumularsi compulsivo di comportamenti rivela una disgregazione in atto del tessuto sociale, che se da un lato frantuma qualsiasi legame, tende poi a recuperarne alcuni di farlocchi e posticci, come quelli di patria, di “famiglia naturale”, etc. [4]  
A vedere cosa succede sui social, in effetti, viene una gran voglia di dargli ragione: la riflessione, la ponderazione hanno ben poco spazio, e la maggior parte dei contenuti è immessa per suscitare una reazione subitanea [5]

Anche l’appello alle emozioni sociali (vergogna, sdegno, invidia, emulazione) che pure in sé richiederebbero una riflessione, è presentato come una necessità immediata: gli altri devono vergognarsi, e io non posso non augurar loro tutto il male possibile. (…) ogni forma di reazione empatica, così come ogni risentimento, è giustificato, o anzi al di qua delle ragioni [6]

Ogni appello alla solidarietà (“scrivi amen e condividi”) o all’ostilità (“condividi se anche tu lo vorresti morto”) … fa sì che questi segnali a risposta immediata abbiano effetti durevoli e nessun pericolo per chi li lancia: sono permanenti, ritornano ciclicamente, e i loro autori sono irrintracciabili [7]

Fino ai mostri di Bibbiano, dove - secondo Di Maio (inventore e/o propalatore dei "Taxi del mare") il PD “toglie i bambini alle famiglie con l'elettroshock”. Questa è bellissima: è lecito supporre che la macchinetta rinvenuta a Moncalieri per l'EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, vale a dire “Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari”), forse utile per il trattamento del trauma e di problematiche legate allo stress traumatico, sia potuto divenire un elettrochoc, tramite l'allitterazione che lega il nome del sindaco del PD Andrea Carletti al dott. Cerletti, inventore della terapia elettro-convulsivante. Ipotizzo un ridicolo fondamento linguistico senza misconoscere la complessità e l’oscurità di una pagina dei servizi sociali di quel comprensorio, tutte da indagare. Quanto poco ci vuole per far dire al vicepremier Di Maio  “Mai col partito di Bibbiano (vale a dire il PD) che toglie i bambini alle famiglie con l’elettroshock allo scopo di venderli”. Di Maio in peggio, lesto l’altro vicepremier si reca a Bibbiano a sciacallare sul sindaco (quando i capi di imputazione in capo ad Andrea Carletti sono abuso d’ufficio e falso ideologico, per gli incarichi alla onlus di Torino Hansel e Gretel)[8].

La diceria si sgancia presto dalle sue fonti – sola garanzia possibile di attendibilità – e prosegue o meno la sua corsa in forza della pura seduzione che esercita sulle nostre menti pronte a soggettivare a tutto spiano. Nei campi detti scientifici, invece, è l’autorità della fonte quel che veramente conta. Se è un dato è apparso su una delle riviste internazionali, in inglese, che godono di massimo prestigio, esso verrà preso sul serio; altrimenti non avrà corso. Ma per tutto il resto (…) attinge al giornalismo. E il giornalismo non convince mai sulla base delle fonti (che restano per lo più ignote), ma sulla base della reputazione del giornalista e del giornale su cui scrive”. (…) Il tempo addormenta la nostra discriminazione critica. Questo spiega il fatto che così spesso incontriamo persone colte e stimabili le quali ripetono convinte fatti e teorie che noi, per ragioni spesso casuali, sappiamo essere autentiche scempiaggini. Quel che chiamiamo “uso della ragione” di solito coincide con il nostro accesso o meno a fonti autorevoli. Perciò la “razionalità” è, più che una capacità individuale, un privilegio sociale. Restare “lucidi” significa semplicemente che non dimentichiamo da chi abbiamo attinto le nostre credenze[9].

Si ricorderà il recente successo del Movimento No vax, a cui in Italia hanno fatto da sponda Beppe Grillo e un gruppo di parlamentari del M5S. Tra le cause dell'antivaccinismo vi sono: un vecchio pregiudizio di Rudolph Steiner (degli inizi del secolo), varie motivazioni religiose, l'errata convinzione, da parte di alcuni individui, dell'avvenuta scomparsa delle malattie, che renderebbe inutile la vaccinazione o la mancanza di consapevolezza riguardo alla pericolosità delle malattie oggetto di prevenzione tramite vaccini. Molte tesi sostenute dagli anti-vaccinisti si basano anche su teorie del complotto o si alimentano con la circolazione di fake news e bufale. C'è però di mezzo anche uno studio "scientifico" (Lancet, 1998) che ha avuto una vasta risonanza e una notevole eco mediatica, che poi ha determinato una consistente caduta delle coperture vaccinali, con la comparsa di migliaia di nuovi casi di morbillo, parotite e rosolia e l’insorgenza di importanti patologie che potevano essere state evitate con la vaccinazione.
C'è da dire che lo studio di Wakefield sembra nascondesse numerosi interessi economici e che gli studi, condotti in Europa e in USA in più di un decennio, hanno valutato e rifiutato l’ipotesi di una possibile relazione tra vaccinazione MPR ed autismo. Alla fine gli autori dello studio di Wakefield hanno firmato una dichiarazione con cui hanno ritirato le conclusioni del loro lavoro: “Vorremmo fare chiarezza sul fatto che nello studio non è stata determinata nessuna associazione causale tra il vaccino MPR e l’autismo, per la mancanza di dati. […] Pertanto siamo dell'opinione che ora sia venuto il momento di ritirare collettivamente e in modo formale le interpretazioni dei risultati dello studio”. Di fronte alla dimostrazione della falsificazione dei dati utilizzati per lo studio, il Lancet ha ritirato formalmente l’articolo e Wakefield è stato radiato dall’ordine dei medici inglese.
Ritornando all’analisi di Sergio Benvenuto (e dunque agli studi di Allport e Postman del 1946-1947) si apre qui un’altra questione: non le notizie false ma la mancanza di verifica, le  pretese informazioni non verificate[10].

E’ questo dunque un altro scenario che riguarda in particolare la politica. Da qualche tempo, anche in Italia, si sta imponendo una buona prassi: quella del fact cheking, vale a dire “la verifica dei fatti”, il lavoro di accertamento degli avvenimenti citati e dei dati usati in un testo o in un discorso. Diversi i siti che si occupano del controllo delle fonti e dei dati, su prove tangibili”, scevro da condizionamenti[11]

La menzogna come metodo di governo

Questa mattina su la7 a Coffee Break ho sentito Dino Giarrusso, ex “Le Iene”, oggi eletto al parlamento europeo con il Movimento 5 stelle. Molto votato, non dei peggiori. A un certo momento non ha potuto frenare “di essere un esperto di comunicazione” (infatti è laureato in Scienze della Comunicazione, anche se ciò non lo rende particolarmente “esperto”, forse ha tratto più nutrimento dall’esperienza come Le Iene e da quella di aiuto-regista). 




Il tutto per introdurre un peana su Salvini, “un maestro di comunicazione”, “il più bravo di tutti”, etc. La questione non è nuova e quella dei giudizi sommari, poco meditati, infatuati e in fondo “somari” si allungano da Berlusconi a Salvini, passando per Renzi. 

In che senso son bravi? Forse “bucano lo schermo”? Certo manifestano una certa familiarità col mezzo, ostentano arguzia e prontezza di riflessi. Ma come si fa a definire bravi dei racconta-balle seriali, un arrogante con manie di grandezza, il politico delle leggi ad personam e delle cene eleganti (per carità, oggi lo abbiamo rivalutato, almeno per il carattere bonario), uno che “un giorno si accorse che il suo partito era scalabile”, quello dello “stai sereno”, quello che ripetutamente minacciò di dimettersi rimanendo immancabilmente al suo posto e che si diede da fare con la rottamazione, anticipando simbolicamente le ruspe nei campi ROM e nei centri di accoglienza, quello del “marcirai in galera”, della zingaraccia, che invita un giornalista ad andare a filmare i bambini (alludendo a una sorta di pedofilia), quello della “zecca tedesca”, quello – sempre lo stesso o la Bestia per lui – che alimenta le dicerie su Mimmo Lucano, quel noto “bugiadro” (parola coniata da Gigi Malerba su misura per la tipologia di ladro e bugiardo), quel sadico che dice di chiudere i porti ai poveri cristi e alle ONG. Il Foglio ha contato che il governo gialloverde ha all’attivo almeno 271 dichiarazioni false, imprecise o fuorvianti in poco più di 300 giorni di vita[12]




Senta, onorevole Giarrusso, in che senso Salvini sarebbe un bravo comunicatore? Se fosse bravo, almeno una brava persona, chiarirebbe il destino dei 49 miliardi transitati sul conto del suo partito e quelli – probabili – del Russiagate. E soprattutto avrebbe sulla coscienza la morte di Becky Moses, nigeriana di 26 anni, bruciata viva nella baraccopoli di San Ferdinando, il giorno appresso allo sfratto dallo Sprar di Riace.

***

Tutto ciò per dire che – ebbene sì -  per 13 anni ho bazzicato il corso di laurea in scienze della comunicazione. I primi tre all’università di Salerno (c’era ancora il vecchio ordinamento), gli ultimi 10 all’Unical (insegnando a contratto varie discipline: linguaggi pubblicitari, teorie dei linguaggi persuasivi, sociologia dei consumi, comunicazione sociale e marketing non convenzionale). E sono stati anni eccezionali. Più di routine quello di Salerno, più pensato e innovativo quello di Arcavacata. Lì era cambiata pure la denominazione. Si chiamava “Filosofie e linguaggi della conoscenza e della comunicazione”, un titolo forse barocco che però abbracciava l’offerta formativa e che inscenava il posizionamento strategico studiato dal presidente del Cdl Daniele Gambarara. Si rivelò fondamentale il raddoppio telematico, intitolato dallo stesso, “Mondoailati”, dove tutti, ma proprio tutti, studenti e docenti, armati di nick name, imparammo a ascoltare, scrivere, dialogare, polemizzare, elaborare, approfondire, insomma, studiare. Una palestra di retorica verbo-visiva, influenzata per puro caso da un altro genio della trasmissione del sapere, un altro performer seduttore, Orazio Converso, un matematico che in quegli stessi anni editava Videor, la videorivista di poesia diretta da Elio Pagliarani.

Ci misi un po’ a realizzare che era da stupidi rimproverare a quel Corso di non essere sufficientemente professionalizzante, di non essere tarato sui mestieri già codificati di giornalista, copywriter, art director, media planner, web content editor, etc. Quella palestra, tra teoria e prassi, apriva a qualsiasi (nuovo) mestiere collegato alla multimedialità, dal regista al producer, dal blogger al web-editor, dal social media strategist e persino al youtuber e all’influencer.

Manca molto quell’approccio, quella palestra “olistica”, ma – come suol dirsi – si era vent’anni avanti. E solo oggi, col senno di poi, après-coup, grazie alla freudiana Nachträglichkeit, attraverso quel movimento di avanti-indietro tra qualcosa che è privo di forma verso qualcosa che ha forma (e di nuovo verso diversi modi di essere informe), tardivamente intendiamo (solo per dirne un paio) la barbarie leghista e la coglioneria a cinque stelle, ovvero il tramonto definitivo dell’etica, come la nostra specie sia obbligatoriamente gregaria e non più naturalmente buona, la fabbrica dell’odio e delle fake news, l’ipostasi del “percepito” in un contesto di disinformazione generale e, come direbbe Mario Caligiuri, “di crescente diseguaglianza globale e di disagio sociale digitale, collegato con quello reale”. 
Un campo di studi che apre al master di 2° livello in Intelligence, giunto ormai alla VIII edizione, e al neo corso di laurea magistrale in Intelligence e analisi del rischio, ambedue incardinati nella classe Scienze della Difesa e della sicurezza e erogati dall’Università della Calabria.
Così inquadra la cosa Caligiuri: “La tendenza dominante del nostro tempo potrebbe essere identificata con la disinformazione, che rappresenta l’emergenza educativa e democratica più drammatica dell’inizio del XXI secolo. L’eccesso di informazioni ha sostituito la censura ma gli effetti sono gli stessi, con persone che non comprendono la realtà, diventando manovrabili consumatori e inconsapevoli elettori”[13].

Troppo lontane nel tempo la sessuo-economia di Wilhelm Reich, l’anatomia della distruttività umana di Fromm, il modello “drammaturgico” di Erving Goffman (che uno come Salvini, coi suoi rosari e cambi di felpa, sembra aver preso alla lettera), l’analisi prossemica di Eward T. Hall. Ma questo bel pezzo di intertestualità novecentesca (Reich, Freud, Goffman, Hall, Watzlawick & C., Peirce, Barthes, Eco, etc.) genera grosso modo due esiti diversi: il primo è pedagogico o meglio pedagogico-comunicativo e affronta il problema della disinformazione crescente.

Diverso il discorso degli eroici furori da me sommariamente ricordati, confluiti dopo vari aggiustamenti in un corso interclasse intitolato Comunicazione e Dams. Svanita la complessità di quel percorso formativo che collegava la filosofia alle patologie del linguaggio e alle neuroscienze, non ne resta che qualche lembo di sapere d’antan, se non del tutto vintage, prevalentemente di natura socio-semiotica e psicanalitica. Evidentemente nostalgico è il mio sguardo, ma non si può dire che quei temi siano inattuali. Del tutto, sono attualissimi. Quasi quanto la cyber security.



C’è un prezioso libriccino di Emanuele Fadda: Troppo lontani, troppo vicini. Elementi di prossemica virtuale, (Quodlibet Elements, 2018) che considero in qualche modo figlio di quel corso di laurea. Il punto di partenza di quell’approccio teorico diciamo socio-semiotico è The hidden dimension di Edward T.Hall. Siamo nel 1966. La traduzione italiana - e non sarà una coincidenza - è del 1968, a cura di Massimo Bonfantini e con una introduzione di Umberto Eco. La collana è "Cose d'oggi" diretta da Furio Colombo per Bompiani. La dimensione nascosta dunque. "Prossemica" è il nome, in evidenza sulla fascetta, altisonante ma - come si avrà modo di registrare nel corso degli anni - con scarso seguito.
Si tratta a tutti gli effetti di una semiologia dello spazio. E come tutte le altre applicazioni (alla moda, ai gesti, alle abitudini culinarie, etc.) o più in generale come tutti i campi del sapere enfatizzanti la comunicazione, si cercò di travalicare l'ambito degli specialisti. Non a caso Eco e Colombo fecero di tutto per non confinare l'opera di Hall in una qualche collana urbanistica.

Lo spazio parla. Anche quando non lo si ascolta. Infatti, la prossemica sembra supporre un inconscio della distanza, con tanto d'interpretazione, di attribuzione di significato in base al momento e al sistema di riferimenti culturali. Cambiano le distanze e cambiano le interpretazioni di esse. Secondo un esempio divenuto celebre (grazie al Barthes "giapponese" del L'impero dei segni), “...spostare un mobile significa cose diverse in una casa francese o in una giapponese”; (...) “un tedesco non interpreta le distanze nello stesso modo di un americano o di un italiano” (Eco. p.VI).
Dunque secondo Eco “la prossemica potrebbe essere così intesa come una tecnica di lettura della spazialità come canale di comunicazione” (Eco, p.VIII). Per questo non andava consegnata agli specialisti. Pur evitando il patente illuminismo dell'autore che ne faceva una sorta di vademecum per l'americano all'estero, con la solita arguzia, è sempre Eco a notare: “...quando questi (l'americano) avesse appreso a riconoscere i significati dei comportamenti non americani e ad atteggiare i propri di conseguenza, si sarebbero evitate tante incomprensioni internazionali, l'immagine americana nel mondo sarebbe risultata più accettabile, nessuno avrebbe più richiesto agli yankees ‘di andarsene a casa’. È quella persuasione illuminista che grava sulle posizioni, ad esempio della Semantica Generale, per cui se giapponesi e americani si fossero capiti meglio (a livello linguistico, s'intende) non sarebbe caduta alcuna bomba atomica su Hiroshima (Eco, p. IX).
Fantasma di comunicazione piena, esente da malinteso, nella cui cattura alcune testate riferirono come gli scontri della piazza Tienanmen fossero facilitati dalla presenza di reparti di province lontane, che letteralmente non parlavano la stessa lingua degli studenti in rivolta. Questioni di lingua ma soprattutto di usi e costumi e - perché no - di prossemica.




“Insomma, dopo una breve infatuazione teorica, la Prossemica è rimasta una semiotica connotativa, in attesa d’una metodologia “denotativa”, e soprattutto comparativa. Ha mantenuto comunque la vocazione antropologica: il raffronto tra i silenziosi linguaggi culturali della distanza inter-somatica possono ovviare infatti all’impensato dei nostri rapporti cognitivi ed emotivi: dirci quanto d’impercepito e d’in-sentito sia attivo all’insaputa delle nostre forme di vita”. (…) In continuità con studiosi della gestualità e dell’interazione come E. Goffman e A. Kendom, per R. Finnegan il sistema prossemico resta un linguaggio silenzioso. Indipendentemente dal calcolo estensivo delle distanze e della restrizione categoriale (v. intimo, personale, sociale e pubblico), le convenzioni prossemiche permettono e impegnano zone sorvegliate di sicurezza ma anche punti o linee di tensione. Secondo regole apprese e non innate che articolano comunità passionali, condivise o conflittuali. Le infrazioni a regole più o meno stringenti in condizioni informali e/o cerimoniale sono veri e propri messaggi inavvertiti o intenzionali. Manipolare le distanze, trasforma la portata e il senso degli spazi propri e altrui. (…) Tolti molti paraorecchie, la traiettoria punteggiata che la semiotica traccia nella vaste plaghe della semiosfera può tornare di nuovo ad intercettare la Prossemica. La quale, a differenza di altri saperi canonici, non è invecchiata, perché non offre soltanto buoni consigli, ma fornisce modelli ed esempi[14].

Anche per questo ne sottolineo volentieri i possibili campi applicativi, ché quelli passati in rassegna fin qui sono scatole d’arnesi, buoni per nuovi contesti come due corsi di laurea, uno classico, o forse demodé, come Scienze della comunicazione, l’altro fresco di attivazione, come Intelligence e analisi del rischio.


Pragmatica della distanza umana

L'anno successivo alla pubblicazione di The hidden dimension, nel 1967, in tutt'altro ambito di ricerca (il, per molti versi glorioso, "Mental Research Institute" di Palo Alto) esce Pragmatic of Human Communication. A study of interactional patterns, pathologies and paradoxes della premiata ditta Watzlawick, Beavin & Jackson. Questa volta la traduzione italiana sarà meno tempestiva (trad. di Massimo Ferretti, Astrolabio, 1971) ma dagli effetti molto più forti e duraturi.
Muovendo da questi due testi “fondamentali”, Fadda passa in rassegna tutta la recente letteratura di tipo – diciamo così – “antropologico/digitale”.

Nicholas Carr, Internet ci rende stupidi, Raffaello Cortina, 2011
Frans de Wall, Naturalmente buoni. Il bene e il male nell’uomo e negli altri animali, Garzanti, 2001
Michael Tomasello, Altruisti nati. Perché cooperiamo fin da piccoli, Bollati Boringhieri, 2010
Luciano Floridi, Onlife Manifesto. Being Human in a Hyperconnected Era, Springer, 2015
Maurizio Ferraris, Mobilitazione totale, Laterza, 2015
Marco Revelli, Populismo 2.0, Einaudi, 2017

Dicerie e pettegolezzi

Ma ne presuppone un altro, egualmente forte e influenzante. L'enfasi dedicata allo psicologismo del "percepito" nasconde una cosa più semplice (e triste) gli italiani sono disinformati. Sono dei ciuccioni, ignorantissimi e pure creduloni. Vorrei proporre il nobel e/o la beatificazione per Sergio Benvenuto, autore di Dicerie e pettegolezzi. Perché crediamo in quello che ci raccontano, un testo del 1999 attualissimo e purtroppo misconosciuto. La sua ristampa sarebbe salutare. Ci aiuterebbe a farci furbi, a non abboccare a qualsiasi scemenza il più delle volte dalla stessa struttura, aiuterebbe gli istituti demoscopici (e pure chi commissiona i sondaggi) a non incoraggiare le fibre credule dell'animo umano.
(...)” La diceria è vox populi: essa esprime cose che la gente desidera, pensa o crede, ma che non è disposta a sostenere esplicitamente (…). La diceria ci mette in contatto con una dimensione umbratile della vita sociale, con i bassifondi o le fogne impresentabili del pensiero collettivo”. (p.13)

Si picchia Salvini

In questo titoletto qualcuno riconoscerà una eco freudiana che appaga un fantasma aggressivo e nello stesso tempo sdrammatizza il posizionamento e il ruolo del tristemente noto vice-premier della Lega come un bambinone. Che infatti sculaccerei molto volentieri. In oltre sessanta anni, diciamo una quarantina di vita politica, campagne, comizi, tribune elettorali e votazioni, ammetto di non aver mai raggiunto gli attuali livelli di preoccupazione (e di aggressività) per un leader politico. Ho un ricordo di Giorgio Almirante, sicuramente nostalgico del ventennio, insomma fascistissimo, ma sempre irenico, raziocinante, educato, elegante. 



Anche Amintore Fanfani, pur non risultando proprio simpaticissimo (in famiglia, mentre a ora di cena si assisteva ai dibattiti in bianco e nero con Gianni Granzotto o Jader Jacobelli, lo si appellava "piccolo e malucavato"), ma risultava essere comunque uno statista. Figuriamoci poi i vari Moro, Berlinguer, Zaccagnini: santi subito! 



Sopportabili e civilissimi pure i Nenni, Malagodi, Spadolini, e persino i più politicamente distanti Rauti e il monarchico Michelini. Il massimo di esuberanza - per tematiche e trovate retoriche - era quella di Pannella, Faccio, Spadaccia, Bonino. 



E che bravi Lelio Basso e Vittorio Foa, e che belli Lucio Magri e Luciana Castellina. Facile antipatizzare con Ugo La Malfa e Saragat, ancor di più coi vari Mario Tanassi, insopportabile Bettino Craxi. Si capiva che era "spìertu" (in tempi più recenti Renzi lo ricorderà molto) ma restava detestabile. 



Questa carrellata per dire che mai sono arrivato a provare un odio così esacerbato come per Salvini. Nella mia lunga storia di telespettatore e di "votante" mai avevo raggiunto gli odierni picchi di pulsioni omicide. Rotti gli indugi proprio su Facebook, dopo aver aperto un thread sui rischi collegati allo sputare in faccia al Ministro dell'Interno, ottenni subito rassicurazione da un mio amico avvocato: una performance derubricata in ingiuria, di fatto depenalizzata, passibile di un’ammenda fino a un massimo di 500 euro. 




Ora lo stesso amico avvocato – poteri della persuasione – mi informa di aver avviato una stramba ricerca di Personale: “ A.A.A. Cercasi jihadista di buona volontà per eliminazione Salvini”. Subito dopo così contestualizza “Felpaman vuole alzare i toni dello scontro (vedi decreto del Tribunale di Bologna su iscrizione anagrafe)” e esorta “ACCONTENTIAMOLO!!!”. Ovviamente si scherza. Ecco all’improvviso il superamento di una distanza critica[15]

Il sottoscritto si sarebbe accontentato di un avvicinamento al Ministro sufficiente a consentire il lancio di uno sputo dal target tradizionale e il mio avvocato di fiducia (che evidentemente a furia di …ha imparato a zoppicare) esterna un desiderio di deflagrazione e annientamento.

Verso una prossemica virtuale

Se sulla prossemica reale, cioè spaziale, plana quella virtuale – ecco l’approccio di Emanuele Fadda – viene metaforizzato buona parte del lessico e dei tropi tipici del web.
Una passeggiata di 88 pagine (bibliografia compresa) da fare a passo svelto. Un booklet [16] denso che connette la pragmatica di Watzlawick allo scardinamento – per via telematica - del perimetro della distanza intima supposta da Hall. Ecco dunque l’echo chamber (“ognuno si forma una cerchia di contatti che hanno opinioni, modi di comportarsi, riferimenti culturali e forme d’ironia simili”), ecco il grooming (lo spidocchiarsi a vicenda, vale a dire lo scambio di likes) che – dice Fadda – tra le scimmie è l’azione “politica” per eccellenza. Senza dimenticare il clickbaiting (cioè il rimorchio dei click) e che la distanza intima “è propria della lotta, dell’amplesso, ma anche del conforto e della protezione”[17]

Non a caso dimensioni strategiche nel campo di gioco di un Salvini. Scrive Fadda: “Come il grooming animale, quello virtuale prevede situazioni di disparità anche forti, in cui c’è chi dà molto e chi riceve molto, e quest’ultimo ha potere sul primo. Come nei branchi di scimmie, il successo su Facebook, il potere degli influencers, viene misurato come pura somma di interazioni individuali: ricevere likes (a prescindere da quanti se ne danno) è una misura esatta del potere sociale, in cui i fattori qualitativi non hanno alcun peso. (…) Anche questi aspetti sono coerenti con il modello della società scimmiesca. Sappiamo che vi sono specie di primati – come i Bonobo – che sessualizzano quasi completamente la diplomazia, risolvendo i conflitti con scambio di favori erotici”[18].  

A questo punto, più o meno da queste parti, Fadda (il semiologo), “Lele” (il filosofo del linguaggio), affida a una nota una riflessione amara: “Il clickbaiting è comportamentismo puro: per condizionamento entriamo nel sito in certe situazioni, anche se razionalmente sappiamo che non ne vale la pena. Il nostro dito agisce prima del cervello (o almeno prima della corteccia prefrontale). [19]

Cosa è qui? Cosa è lontano?

Le domande di Meyrowitz erano semplici (il semplice è il contrario del semplicismo) e dunque complesse: che cosa è qui? che cosa è lontano? in che modo si modifica la nostra mappa delle relazioni spaziali se ci risulta più facile parlare con un amico a New York rispetto al signore della porta accanto?[20]
Non c’è risposta. Salvo far rispondere la cultura fenomenologica, ad es. un Carlo Sini, rilevando che c’è una distanza costitutiva e che le nuove tecnologie non fanno altro che rappresentare l’acting out di qualcosa che era perlomeno latente o strutturalmente preesistente. Insomma, che covava già nei primi movimenti e negli effetti del web.

***
Il ministro Salvini chiagne e fotte. Si lamenta e minaccia. “O una riforma della giustizia è importante, vera, pesante, significativa …Non siamo al governo per fare le cose a metà”. Fabbrica continui paradossi: bistratta i governi francesi, tedeschi e olandesi, non partecipa alle riunioni coi colleghi ministri dell’UE, i suoi tweet li provocano di continuo, etc. poi si lamenta della scarsa sensibilità delle altre nazioni.




Si prenda poi il caso di Carola Rackete, la capitana di SeaWatch 3:
 - in termini di prossemica virtuale. In questo caso ciò che gli studiosi definiscono "sovrastima della pervasività sociale delle proprie opinioni". Pochissimi sanno qualcosa di diritto marittimo internazionale, tutti sputano sentenze, tifano per questo e quello, pochissimi empatizzano con quella "capitana" ("Non è che perché sei bianca, ricca e tedesca che puoi venire a rompere le palle" dixit quell'elegantone di Salvini) che ha l'obbligo di portare in salvo i naufraghi raccolti in un pezzo di mare da troppo tempo senza testimoni. Questione ancora più complicata dagli influencer e dai professionisti raccontatori di balle. Solo per fare un esempio: Salvini parla di "una sbruffoncella che fa politica" e a un nostro amico (persona ospitale, sensibile e intelligente, a parte la momentanea infatuazione per le 5 Leghe) scappa un "Glielo ricordiamo noi un po' di diritto internazionale a questi saputelli". Da "sbruffoncella" a "saputelli": ecco servita la surdeterminazione della catena significante. Per non parlare poi delle varie Grete e Gretine che hanno autorizzato chiunque a esprimere odio e antipatia: "para na bimbetta perfida di un cartone animato", enunciato seguito dall'invito a "rispedirla nel suo mondo con i coetanei la vispa perfida gretina". Il tutto rivendicato e firmato da un'insegnante di sostegno che si dice al corrente dell'autismo e della sindrome di Asperger. Ecco, quel "rispedirla nel suo mondo" suona particolarmente violento. E vorrei essere in una nazione dove le scuole hanno gli strumenti per fare a meno di gente simile.




 Il concetto di "sovrastima della pervasività sociale delle proprie opinioni" si allarga e include una sorta di architesto[21], dove le bufale, le dicerie, le “cattiverie” (come antonimo del buonismo) si ancorano alle testate e/o ai blog relativi supposti autorevoli di “direttori” e conduttori di talk show da prima serata. Formando un tutt’uno veramente odioso.




"Vadano ad Amburgo"

Interessante quanto sostiene Roland Gori: “L'impostore si trova oggi nelle nostre società perfettamente a suo agio: fa prevalere la forma sulla sostanza, mette in risalto i mezzi piuttosto che i fini, si fida delle apparenze e della reputazione piuttosto che del lavoro e della probità, preferisce l'audience al merito, opta per un vantaggioso pragmatismo piuttosto che per il coraggio della verità, sceglie l'opportunismo dell'opinione invece di tener fermo sui valori, pratica l'arte dell'illusione invece di emanciparsi attraverso il pensiero critico. Ecco l'ambiente in cui prospera l'impostura! (...) L'impostore vive a credito, a credito dell'Altro. Sorella siamese del conformismo, l'impostura è fra noi. [22].

Di questo perverso dispositivo fa parte l’ospite fisso, vuoi per par condicio, più spesso nel ruolo di agente provocatore. Sgarbi a parte, ora con parti meno scontate, è il caso di Daniela Santanché. Daniela Garnero, già coniugata con Paolo Santanchè, chirurgo estetico, di cui mantiene il cognome a seguito di un accordo giudiziale in sede di separazione. Dal 1995 legata a l'ingegnere Canio Giovanni Mazzaro, imprenditore farmaceutico potentino, presidente della Pierrel. Politica e imprenditrice, veleggia tranquilla e arrogante in tutto il centrodestra e nei talk show, vien spesso da chiedersi “che titolo ha Danielina a parlare di ciò?”. Un falso problema. Nello psicodramma tv, oltre che nella retorica cattivista, Danielina è considerata, a tutto campo, come contraltare alla presenza di valori edonistici e all'assenza di lotta[23].
La sua mandibola aggressiva è sempre lì, vigile, pronta a contrastare qualsiasi forma di laissez-faire. Insomma, di buonismo.


Così può capitare che Santanché abbandoni Agorà Estate, in polemica con la conduttrice rea di aver accordato poca enfasi all’assassinio del carabiniere (in realtà i primi lanci di agenzia avevano ritenuti colpevoli due maghrebini, non due giovanotti statunitensi). Evidentemente spiazzata dalla supposizione, per lei scontata, della responsabilità di un Altro, profugo o migrante.
Tramite una diretta Facebook anche il nostro “bugiadro” ha accusato i suoi corrispettivi alla Difesa e all'Economia di averlo lasciato solo nell'affrontare i problemi dell'immigrazione. Immediatamente sbugiardato, ben presto arriva però la risposta della Ministra Trenta, che sostiene di aver offerto aiuto in più occasioni, ma di essere sempre stata respinta misteriosamente dallo stesso Viminale, che ora si lamenta tramite Salvini.

Così vanno le cose in Italia nell’estate del 2019. Sinceramente credo che il sogno filosofico di una scienza della comunicazione, che volentieri mi coinvolse, e che mi portò ad approfondire la nuova retorica pubblicitaria, in termini verbo-visivi, di isotopia e di bellezza ed efficacia del ragionamento, richieda oggi saperi e pratiche più robuste. Non più in punta di fioretto, ma adeguate all’odierno clima di regressione culturale e di homo homini lupus.  Chissà, forse si potrebbe potenziare e rilanciare un corso di laurea in sinergia con quello cugino sull’Intelligence e analisi del rischio.


Gli animali non hanno critici. Il lupo non critica l’agnello, lo mangia”.
Erik Satie, Quaderni di un mammifero, a cura di Ornella Volta, Adelphi, 1980


§§§

Si ricorderanno le lauree honoris causa a Vasco Rossi e a Valentino Rossi, entrambe del 2005. “L’intento autopromozionale delle università appariva evidente: piazzando un prodotto come Vasco o come Valentino nelle corde dei media si intendeva offrire una ribalta agli stessi corsi di studio, e attraverso questi alle università di insediamento. Più iscrizioni uguale più budget. E i media reagirono come previsto, dando ampio spazio alle cerimonie di laurea dei notissimi personaggi, con il loro ampio seguito di simpatia giovanile. Tuttavia fu sottovalutato l’effetto boomerang di quelle trovate apparentemente felici [24]
Legittimo chiedersi ora se Salvini, il suo incredibile successo politico, potrà essere un testimonial egualmente efficace o, meglio, un caso di studio utile per le prossime generazioni. A patto che ce ne siano e che i governi “sovranisti” non facciano troppi danni. Con la speranza che l’esperienza di governo, qui sommariamente raccontata, volga molto presto al termine.




[1] Cass R. Sunstein, Voci, gossip e false dicerie, Feltrinelli, 2010, p. 11.
[2] http://www.paolofabbri.it/voce/

[3] Paolo Fabbri, op.cit.
[4] Gianluca Solla, Panico, ovunque! in Fata Morgana web, ottobre 2018
[5] Nicholas Carr, Internet ci rende stupidi? Raffaello Cortina, 2011

[6] Emanuele Fadda, Troppo lontani, troppo vicini. Elementi di prossemica virtuale, Quodlibet Elements, 2018
[7] Giovanni Ziccardi, L’odio on line, Raffaello Cortina, 2016
[8]  D’altra parte Di Maio, confortato da Di Battista, era quello che aveva tuonato a favore dell’impeachment di Mattarella (non si è mai capito il motivo, salvo che come reazione al veto sulla nomina di Paolo Savona).
[9] Sergio Benvenuto, Dicerie e pettegolezzi. Perché crediamo in quel che ci raccontano, Il Mulino, 1999, p.130
[10] Sergio Benvenuto, op. cit. p. 127
[12]  Il Foglio, “Il governo delle 271 bufale”, 8 Aprile 2019  
[13] Mario Caligiuri, Introduzione alla società della disinformazione. Per una pedagogia della comunicazione, Rubbettino, 2018
[14] Paolo Fabbri, La prossemica a lungo corso, in E|C, rivista dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici on-line, pubblicato in rete il 21 gennaio 2019.
[15] Secondo la definizione di Hall, la distanza critica comprende lo stretto intervallo che separa la distanza di fuga da quella di attacco.
[16] Uso "booklet" non per sminuirne la portata ma solo per sottrarmi alla metatesi spiazzante con la quale dovrei indicarlo come "libriccino" - con due c, mentre si pronuncia "libbricino" con due b e una sola c.
[17] E.T. Hall, op. cit., pp. 108, 156.
[18] Emanuele Fadda, op.cit., pp. 44-45
[19] Emanuele Fadda, op.cit. p.44 “C’è una cosa su cui il comportamentismo ha vinto su tutta la linea, e questa vittoria non va nemmeno dimostrata, tanto è evidente”. (…)
[20] Joshua Meyrowitz, Oltre il senso del luogo. L'impatto dei media elettronici sul comportamento sociale, Baskerville, 1995
[21] Gérard Genette, Introduzione all’architesto, Pratiche, 1981
[22] Roland Gori, « La fabrique des imposteurs et la toute puissance du pervers narcissique », Une conférence enregistrée en février 2014. (Roland Gori, professeur émérite de Psychopathologie clinique à l'Université d'Aix Marseille, psychanalyste membre d'Espace analytique).

[23] “Ma la posizione di opponente è una posizione sintattica, non semantica; in ogni caso essa può essere riempita non necessariamente da opponenti figurativi, antropomorfizzati, ma da occorrimenti diversi: ad es.: il servizio militare, la scomparsa della voce, una delusione d'amore, ecc. L'assenza di opponente figurativo può essere una regola discorsiva di genere (ma i contrasti col manager?), ma sul piano sintattico la funzione c'è ed una tipologia dei suoi investimenti semantici presenterebbe il massimo interesse. Nel web l’opponente figurativo è sempre presente, sia antropomorfizzato (prevalentemente la faccia di George Soros, supposto pluri-finanziatore) che nell’astrazione delle ONG che trafficano con gli scafisti) Cfr. Paolo Fabbri, “A passion veduta: il vaglio semiotico”, in “Saggi”, Gennaio 1991, in: Isabella Pezzini (a cura di), Semiotica delle Passioni, Società Editrice Esculapio – Progetto Leonardo, Bologna, 1991, pp. 159-189.

[24] In “Comunicazione e media”, n.5, novembre 2012

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