Uno sbaglio
che rifarei mille volte
di Massimo Celani
Stiamo parlando del corso di laurea più denigrato,
insultato, sottovalutato della storia universitaria italiana.
"Abbiamo bisogno di ingegneri, abbiamo
bisogno di tecnici importanti. Una sola preghiera: non vi iscrivete a scienze
della comunicazione, non fate questo tragico errore, che paghereste per il
resto della vita!" tuonò Bruno Vespa a “Porta a Porta”. Anche l'ex
ministro Maria Stella Gelmini, in più occasioni e con sicumera, affermò che
"Scienze della Comunicazione non aiuta a trovare lavoro, perché purtroppo
sono più richieste lauree di tipo scientifico, lauree che in qualche modo
servono all'impresa".
Tutto ciò lo ricorda Simona Berterame, ad Agosto
del 2013, sul blog dell'Huffpost. "Anche Romano Prodi aveva più volte
fatto notare come l’alto numero di iscritti a Scienze della comunicazione
rispetto alle facoltà scientifiche fosse indice di un cattivo rapporto tra la
formazione e il mercato del lavoro".
Nel discorso di Cosenza - il 3 ottobre 2005 - in
occasione delle primarie, è Prodi a stigmatizzare che "in tutto il Lazio
ci sono meno di 5000 iscritti alle facoltà scientifiche (matematica,
ingegneria, scienze naturali) e 16000 iscritti ad una sola facoltà di Scienze
della comunicazione". Alessandro
Chiappetta, in Politicaonline.it (9 ottobre 2005)
Il fatto è che “i rumors, le dicerie, sono vecchi
quasi quanto la storia dell’uomo. Ma con la nascita di internet sono diventati
onnipresenti. Ne siamo sommersi. Le voci false e infondate sono particolarmente
moleste, provocano un danno reale a individui e istituzioni e spesso sono
refrattarie alle correzioni. Possono minacciare carriere, programmi politici,
funzionari pubblici e a volte la democrazia stessa”
[1]. Op.cit.
da Stefano Cristante, "Scienze della comunicazione tra insulti, emergenze
e preveggenza", in “Rivista di Scienze Sociali”, (comunicazione e media)
n.5, novembre 2012.
Rumors,
insinuazioni, balle
E ora che la stessa logica imperversa, e non si
tratta più di Prodi e Gelmini ma del “blog delle stelle”, di un politico senza
scrupoli come Salvini, di una banda di giornalisti e blogger che gravitano
intorno a il Giornale, Libero, La Verità, Panorama, Il Populista e Altaforte?
Oggi che trionfano i migranti e i clandestini "percepiti",
l'enfatizzazione della sicurezza e dei confini, le dicerie antisemite e più in
generale le paranoiche invenzioni sulla filantropia di George Soros
("Radio Soros" - secondo i sovranisti che la sanno lunga - sarebbe
Radio Radicale); i traffici - sempre supposti e mai provati tra scafisti e le
ONG, Riace e Mimmo Lucano (quest'ultimo fatto fuori, nel totale disinteresse
del PD, dalle bufale e – sia chiaro -dalla voce di una imminente pioggia di
soldi). Persino l’odio nei confronti di Greta Thunberg, una sedicenne,
laboriosa fino allo sfinimento nonostante sia affetta da un disturbo dello
spettro autistico. A mo' di esempio, si veda il negazionismo climatico che si
trova compendiato nel saggio – non a caso edito da Altaforte - “Greta e la pedolatria creata dalle élite”. “Anche
se non è legittimato da un contratto di veridizione, il pettegolezzo non è però
senza costrutto” - dice Paolo Fabbri - “un carattere eminente della voce è la
sua insituabile origine. Suo tratto distintivo è l’assenza di corroborazione.
Conosciamo bene i punti di diramazione, spesso luoghi pubblici, caratterizzati
da incontri occasionali e fortuiti (file, luoghi d’attese impreviste, raduni
collettivi, ecc.) tra attori socialmente disparati, ma non sappiamo la fonte,
il primo destinante di cui tutti sono i virtuali destinatari. Non c’è mai un
primo soggetto sparlante.[2].
“Non è inesatto dire che misuriamo il nostro
comportamento sulla base del potenziale esistente per il pettegolezzo, cioè
anticipando quel che “la gente” dirà di noi in senso positivo e negativo. Inafferrabili
ed imminenti, i rumori si riferiscono ad una fonte prossima (famiglia,
conoscenti, luoghi familiari, incontri fortuiti) ma che si sottrae all’indagine”[3].
“(...) Si prenda il tema delle migrazioni.
Basterebbe citare solo l’erronea percezione diffusa in Italia che il numero
degli arrivi sia enormemente superiore a quello reale, per avere la misura
approssimativa di un panico onnipresente. Come Freud argomenta nelle sue
riflessioni sulla psicologia delle masse, il panico è l’espressione di una
psiche collettiva che tende ad abolire se stessa. L’accumularsi compulsivo di
comportamenti rivela una disgregazione in atto del tessuto sociale, che se da
un lato frantuma qualsiasi legame, tende poi a recuperarne alcuni di farlocchi
e posticci, come quelli di patria, di “famiglia naturale”, etc. [4]
A vedere cosa succede sui social, in effetti,
viene una gran voglia di dargli ragione: la riflessione, la ponderazione hanno
ben poco spazio, e la maggior parte dei contenuti è immessa per suscitare una
reazione subitanea [5].
Anche l’appello alle emozioni sociali (vergogna, sdegno, invidia, emulazione)
che pure in sé richiederebbero una riflessione, è presentato come una necessità
immediata: gli altri devono vergognarsi, e io non posso non augurar loro tutto
il male possibile. (…) ogni forma di reazione empatica, così come ogni
risentimento, è giustificato, o anzi al di qua delle ragioni [6]
Ogni appello alla solidarietà (“scrivi amen e
condividi”) o all’ostilità (“condividi se anche tu lo vorresti morto”) … fa sì che
questi segnali a risposta immediata abbiano effetti durevoli e nessun pericolo
per chi li lancia: sono permanenti, ritornano ciclicamente, e i loro autori
sono irrintracciabili [7]
Fino ai mostri di Bibbiano, dove - secondo Di Maio
(inventore e/o propalatore dei "Taxi del mare") il PD “toglie i bambini
alle famiglie con l'elettroshock”. Questa è bellissima: è lecito supporre che
la macchinetta rinvenuta a Moncalieri per l'EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, vale a dire
“Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari”), forse
utile per il trattamento del trauma e di problematiche legate allo stress
traumatico, sia potuto divenire un elettrochoc, tramite l'allitterazione che
lega il nome del sindaco del PD Andrea Carletti al dott. Cerletti, inventore
della terapia elettro-convulsivante. Ipotizzo un ridicolo fondamento
linguistico senza misconoscere la complessità e l’oscurità di una pagina dei
servizi sociali di quel comprensorio, tutte da indagare. Quanto poco ci vuole
per far dire al vicepremier Di Maio “Mai
col partito di Bibbiano (vale a dire il PD) che toglie i bambini alle famiglie
con l’elettroshock allo scopo di venderli”. Di Maio in peggio, lesto l’altro
vicepremier si reca a Bibbiano a sciacallare sul sindaco (quando i capi di
imputazione in capo ad Andrea Carletti sono abuso d’ufficio e falso ideologico,
per gli incarichi alla onlus di Torino Hansel e Gretel)[8].
La diceria si sgancia presto dalle sue fonti –
sola garanzia possibile di attendibilità – e prosegue o meno la sua corsa in
forza della pura seduzione che esercita sulle nostre menti pronte a
soggettivare a tutto spiano. Nei campi detti scientifici, invece, è l’autorità
della fonte quel che veramente conta. Se è un dato è apparso su una delle
riviste internazionali, in inglese, che godono di massimo prestigio, esso verrà
preso sul serio; altrimenti non avrà corso. Ma per tutto il resto (…) attinge
al giornalismo. E il giornalismo non convince mai sulla base delle fonti (che
restano per lo più ignote), ma sulla base della reputazione del giornalista e
del giornale su cui scrive”. (…) Il tempo addormenta la nostra discriminazione
critica. Questo spiega il fatto che così spesso incontriamo persone colte e
stimabili le quali ripetono convinte fatti e teorie che noi, per ragioni spesso
casuali, sappiamo essere autentiche scempiaggini. Quel che chiamiamo “uso della
ragione” di solito coincide con il nostro accesso o meno a fonti autorevoli.
Perciò la “razionalità” è, più che una capacità individuale, un privilegio
sociale. Restare “lucidi” significa semplicemente che non dimentichiamo da chi
abbiamo attinto le nostre credenze[9].
Si ricorderà il recente successo del Movimento No
vax, a cui in Italia hanno fatto da sponda Beppe Grillo e un gruppo di
parlamentari del M5S. Tra le cause dell'antivaccinismo vi sono: un vecchio
pregiudizio di Rudolph Steiner (degli inizi del secolo), varie motivazioni
religiose, l'errata convinzione, da parte di alcuni individui, dell'avvenuta
scomparsa delle malattie, che renderebbe inutile la vaccinazione o la mancanza
di consapevolezza riguardo alla pericolosità delle malattie oggetto di
prevenzione tramite vaccini. Molte tesi sostenute dagli anti-vaccinisti si
basano anche su teorie del complotto o si alimentano con la circolazione di fake news e bufale. C'è però di mezzo
anche uno studio "scientifico" (Lancet, 1998) che ha avuto una vasta
risonanza e una notevole eco mediatica, che poi ha determinato una consistente
caduta delle coperture vaccinali, con la comparsa di migliaia di nuovi casi di
morbillo, parotite e rosolia e l’insorgenza di importanti patologie che
potevano essere state evitate con la vaccinazione.
C'è da dire che lo studio di Wakefield sembra
nascondesse numerosi interessi economici e che gli studi, condotti in Europa e
in USA in più di un decennio, hanno valutato e rifiutato l’ipotesi di una
possibile relazione tra vaccinazione MPR ed autismo. Alla fine gli autori dello
studio di Wakefield hanno firmato una dichiarazione con cui hanno ritirato le
conclusioni del loro lavoro: “Vorremmo fare chiarezza sul fatto che nello
studio non è stata determinata nessuna associazione causale tra il vaccino MPR
e l’autismo, per la mancanza di dati. […] Pertanto siamo dell'opinione che ora
sia venuto il momento di ritirare collettivamente e in modo formale le
interpretazioni dei risultati dello studio”. Di fronte alla dimostrazione della
falsificazione dei dati utilizzati per lo studio, il Lancet ha ritirato
formalmente l’articolo e Wakefield è stato radiato dall’ordine dei medici
inglese.
Ritornando all’analisi di Sergio Benvenuto (e
dunque agli studi di Allport e Postman del 1946-1947) si apre qui un’altra
questione: non le notizie false ma la mancanza di verifica, le pretese informazioni non verificate[10].
E’ questo dunque un altro scenario che riguarda in
particolare la politica. Da qualche tempo, anche in Italia, si sta imponendo
una buona prassi: quella del fact cheking,
vale a dire “la verifica dei fatti”, il lavoro di accertamento degli
avvenimenti citati e dei dati usati in un testo o in un discorso. Diversi i
siti che si occupano del controllo delle fonti e dei dati, su prove tangibili”,
scevro da condizionamenti[11]
La
menzogna come metodo di governo
Questa mattina su la7 a Coffee Break ho sentito Dino
Giarrusso, ex “Le Iene”, oggi eletto al parlamento europeo con il Movimento 5
stelle. Molto votato, non dei peggiori. A un certo momento non ha potuto
frenare “di essere un esperto di comunicazione” (infatti è laureato in Scienze
della Comunicazione, anche se ciò non lo rende particolarmente “esperto”, forse
ha tratto più nutrimento dall’esperienza come Le Iene e da quella di aiuto-regista).
Il tutto per introdurre un
peana su Salvini, “un maestro di comunicazione”, “il più bravo di tutti”, etc.
La questione non è nuova e quella dei giudizi sommari, poco meditati, infatuati
e in fondo “somari” si allungano da Berlusconi a Salvini, passando per Renzi.
In che senso son bravi? Forse “bucano lo schermo”? Certo manifestano una certa
familiarità col mezzo, ostentano arguzia e prontezza di riflessi. Ma come si fa
a definire bravi dei racconta-balle seriali, un arrogante con manie di
grandezza, il politico delle leggi ad
personam e delle cene eleganti (per carità, oggi lo abbiamo rivalutato,
almeno per il carattere bonario), uno che “un giorno si accorse che il suo
partito era scalabile”, quello dello “stai
sereno”, quello che ripetutamente minacciò di dimettersi rimanendo
immancabilmente al suo posto e che si diede da fare con la rottamazione,
anticipando simbolicamente le ruspe nei campi ROM e nei centri di accoglienza,
quello del “marcirai in galera”, della zingaraccia,
che invita un giornalista ad andare a filmare i bambini (alludendo a una sorta
di pedofilia), quello della “zecca tedesca”, quello – sempre lo stesso o la Bestia per lui – che alimenta le
dicerie su Mimmo Lucano, quel noto “bugiadro” (parola coniata da Gigi Malerba
su misura per la tipologia di ladro e bugiardo), quel sadico che dice di
chiudere i porti ai poveri cristi e alle ONG. Il Foglio ha contato che il
governo gialloverde ha all’attivo almeno 271 dichiarazioni false, imprecise o
fuorvianti in poco più di 300 giorni di vita[12].
Senta,
onorevole Giarrusso, in che senso Salvini sarebbe un bravo comunicatore? Se fosse bravo, almeno una brava persona, chiarirebbe
il destino dei 49 miliardi transitati sul conto del suo partito e quelli –
probabili – del Russiagate. E
soprattutto avrebbe sulla coscienza la morte di Becky Moses, nigeriana di 26
anni, bruciata viva nella baraccopoli di San Ferdinando, il giorno appresso
allo sfratto dallo Sprar di Riace.
***
Tutto ciò per dire che – ebbene sì - per 13 anni ho bazzicato il corso di laurea in
scienze della comunicazione. I primi tre all’università di Salerno (c’era
ancora il vecchio ordinamento), gli ultimi 10 all’Unical (insegnando a
contratto varie discipline: linguaggi pubblicitari, teorie dei linguaggi
persuasivi, sociologia dei consumi, comunicazione sociale e marketing non
convenzionale). E sono stati anni eccezionali. Più di routine quello di
Salerno, più pensato e innovativo quello di Arcavacata. Lì era cambiata pure la
denominazione. Si chiamava “Filosofie e linguaggi della conoscenza e della
comunicazione”, un titolo forse barocco che però abbracciava l’offerta
formativa e che inscenava il posizionamento strategico studiato dal presidente
del Cdl Daniele Gambarara. Si rivelò fondamentale il raddoppio telematico,
intitolato dallo stesso, “Mondoailati”, dove tutti, ma proprio tutti, studenti
e docenti, armati di nick name,
imparammo a ascoltare, scrivere, dialogare, polemizzare, elaborare,
approfondire, insomma, studiare. Una palestra di retorica verbo-visiva,
influenzata per puro caso da un altro genio della trasmissione del sapere, un
altro performer seduttore, Orazio Converso, un matematico che in quegli stessi
anni editava Videor, la videorivista
di poesia diretta da Elio Pagliarani.
Ci misi un po’ a realizzare che era da stupidi
rimproverare a quel Corso di non essere sufficientemente professionalizzante,
di non essere tarato sui mestieri già codificati di giornalista, copywriter,
art director, media planner, web content editor, etc. Quella palestra, tra
teoria e prassi, apriva a qualsiasi (nuovo) mestiere collegato alla
multimedialità, dal regista al producer, dal blogger al web-editor, dal social
media strategist e persino al youtuber e all’influencer.
Manca molto quell’approccio, quella palestra
“olistica”, ma – come suol dirsi – si era vent’anni avanti. E solo oggi, col
senno di poi, après-coup, grazie alla
freudiana Nachträglichkeit,
attraverso quel movimento di avanti-indietro tra qualcosa che è privo di forma
verso qualcosa che ha forma (e di nuovo verso diversi modi di essere informe),
tardivamente intendiamo (solo per dirne un paio) la barbarie leghista e la
coglioneria a cinque stelle, ovvero il tramonto definitivo dell’etica, come la
nostra specie sia obbligatoriamente
gregaria e non più naturalmente buona,
la fabbrica dell’odio e delle fake news,
l’ipostasi del “percepito” in un contesto di disinformazione generale e, come
direbbe Mario Caligiuri, “di crescente diseguaglianza globale e di disagio
sociale digitale, collegato con quello reale”.
Un campo di studi che apre al
master di 2° livello in Intelligence, giunto ormai alla VIII edizione, e al neo
corso di laurea magistrale in Intelligence
e analisi del rischio, ambedue incardinati nella classe Scienze della
Difesa e della sicurezza e erogati dall’Università della Calabria.
Così inquadra la cosa Caligiuri: “La tendenza
dominante del nostro tempo potrebbe essere identificata con la disinformazione,
che rappresenta l’emergenza educativa e democratica più drammatica dell’inizio
del XXI secolo. L’eccesso di informazioni ha sostituito la censura ma gli
effetti sono gli stessi, con persone che non comprendono la realtà, diventando
manovrabili consumatori e inconsapevoli elettori”[13].
Troppo lontane nel tempo la sessuo-economia di
Wilhelm Reich, l’anatomia della distruttività umana di Fromm, il modello
“drammaturgico” di Erving Goffman (che uno come Salvini, coi suoi rosari e
cambi di felpa, sembra aver preso alla lettera), l’analisi prossemica di Eward
T. Hall. Ma questo bel pezzo di intertestualità novecentesca (Reich, Freud,
Goffman, Hall, Watzlawick & C., Peirce, Barthes, Eco, etc.) genera grosso
modo due esiti diversi: il primo è pedagogico o meglio pedagogico-comunicativo
e affronta il problema della disinformazione crescente.
Diverso il discorso degli eroici furori da me
sommariamente ricordati, confluiti dopo vari aggiustamenti in un corso
interclasse intitolato Comunicazione e Dams. Svanita la complessità di quel
percorso formativo che collegava la filosofia alle patologie del linguaggio e
alle neuroscienze, non ne resta che qualche lembo di sapere d’antan, se non del
tutto vintage, prevalentemente di natura socio-semiotica e psicanalitica.
Evidentemente nostalgico è il mio sguardo, ma non si può dire che quei temi
siano inattuali. Del tutto, sono attualissimi. Quasi quanto la cyber security.
C’è un prezioso libriccino di Emanuele Fadda: Troppo lontani, troppo vicini. Elementi di
prossemica virtuale, (Quodlibet Elements, 2018) che considero in qualche
modo figlio di quel corso di laurea. Il punto di partenza di quell’approccio
teorico diciamo socio-semiotico è The hidden dimension di Edward
T.Hall. Siamo nel 1966. La traduzione italiana - e non sarà una coincidenza - è
del 1968, a cura di Massimo Bonfantini e con una introduzione di Umberto Eco.
La collana è "Cose d'oggi" diretta da Furio Colombo per Bompiani. La
dimensione nascosta dunque. "Prossemica" è il nome, in evidenza sulla
fascetta, altisonante ma - come si avrà modo di registrare nel corso degli anni
- con scarso seguito.
Si tratta a tutti gli
effetti di una semiologia dello spazio. E come tutte le altre applicazioni
(alla moda, ai gesti, alle abitudini culinarie, etc.) o più in generale come
tutti i campi del sapere enfatizzanti la comunicazione, si cercò di travalicare
l'ambito degli specialisti. Non a caso Eco e Colombo fecero di tutto per non
confinare l'opera di Hall in una qualche collana urbanistica.
Lo spazio parla.
Anche quando non lo si ascolta. Infatti, la prossemica sembra supporre un
inconscio della distanza, con tanto d'interpretazione, di attribuzione di
significato in base al momento e al sistema di riferimenti culturali. Cambiano
le distanze e cambiano le interpretazioni di esse. Secondo un esempio divenuto
celebre (grazie al Barthes "giapponese" del L'impero dei segni),
“...spostare un mobile significa cose diverse in una casa francese o in una
giapponese”; (...) “un tedesco non interpreta le distanze nello stesso modo di
un americano o di un italiano” (Eco. p.VI).
Dunque secondo Eco
“la prossemica potrebbe essere così intesa come una tecnica di lettura della
spazialità come canale di comunicazione” (Eco, p.VIII). Per questo non andava
consegnata agli specialisti. Pur evitando il patente illuminismo dell'autore
che ne faceva una sorta di vademecum per l'americano all'estero, con la
solita arguzia, è sempre Eco a notare: “...quando questi (l'americano) avesse
appreso a riconoscere i significati dei comportamenti non americani e ad
atteggiare i propri di conseguenza, si sarebbero evitate tante incomprensioni
internazionali, l'immagine americana nel mondo sarebbe risultata più
accettabile, nessuno avrebbe più richiesto agli yankees ‘di andarsene a casa’. È quella persuasione illuminista che
grava sulle posizioni, ad esempio della Semantica Generale, per cui se
giapponesi e americani si fossero capiti meglio (a livello linguistico,
s'intende) non sarebbe caduta alcuna bomba atomica su Hiroshima (Eco, p. IX).
Fantasma di
comunicazione piena, esente da malinteso, nella cui cattura alcune testate
riferirono come gli scontri della piazza Tienanmen fossero facilitati dalla
presenza di reparti di province lontane, che letteralmente non parlavano la
stessa lingua degli studenti in rivolta. Questioni di lingua ma soprattutto di
usi e costumi e - perché no - di prossemica.
“Insomma, dopo una
breve infatuazione teorica, la Prossemica è rimasta una semiotica connotativa,
in attesa d’una metodologia “denotativa”, e soprattutto comparativa. Ha
mantenuto comunque la vocazione antropologica: il raffronto tra i silenziosi
linguaggi culturali della distanza inter-somatica possono ovviare infatti
all’impensato dei nostri rapporti cognitivi ed emotivi: dirci quanto d’impercepito
e d’in-sentito sia attivo all’insaputa delle nostre forme di vita”. (…) In
continuità con studiosi della gestualità e dell’interazione come E. Goffman e
A. Kendom, per R. Finnegan il sistema prossemico resta un linguaggio
silenzioso. Indipendentemente dal calcolo estensivo delle distanze e della
restrizione categoriale (v. intimo, personale, sociale e pubblico), le
convenzioni prossemiche permettono e impegnano zone sorvegliate di sicurezza ma
anche punti o linee di tensione. Secondo regole apprese e non innate che
articolano comunità passionali, condivise o conflittuali. Le infrazioni a
regole più o meno stringenti in condizioni informali e/o cerimoniale sono veri
e propri messaggi inavvertiti o intenzionali. Manipolare le distanze, trasforma
la portata e il senso degli spazi propri e altrui. (…) Tolti molti paraorecchie,
la traiettoria punteggiata che la semiotica traccia nella vaste plaghe della
semiosfera può tornare di nuovo ad intercettare la Prossemica. La quale, a
differenza di altri saperi canonici, non è invecchiata, perché non offre
soltanto buoni consigli, ma fornisce modelli ed esempi[14].
Anche per questo ne sottolineo volentieri i
possibili campi applicativi, ché quelli passati in rassegna fin qui sono
scatole d’arnesi, buoni per nuovi contesti come due corsi di laurea, uno
classico, o forse demodé, come Scienze della comunicazione, l’altro fresco di
attivazione, come Intelligence e analisi
del rischio.
Pragmatica della distanza umana
L'anno successivo
alla pubblicazione di The hidden dimension, nel 1967, in tutt'altro
ambito di ricerca (il, per molti versi glorioso, "Mental Research
Institute" di Palo Alto) esce Pragmatic of Human Communication. A study of interactional patterns, pathologies and
paradoxes della
premiata ditta Watzlawick, Beavin & Jackson. Questa volta
la traduzione italiana sarà meno tempestiva (trad. di Massimo Ferretti,
Astrolabio, 1971) ma dagli effetti molto più forti e duraturi.
Muovendo da questi
due testi “fondamentali”, Fadda passa in rassegna tutta la recente letteratura
di tipo – diciamo così – “antropologico/digitale”.
Nicholas Carr, Internet ci rende stupidi, Raffaello
Cortina, 2011
Frans de Wall, Naturalmente buoni. Il bene e il male
nell’uomo e negli altri animali, Garzanti, 2001
Michael Tomasello, Altruisti nati. Perché cooperiamo fin da
piccoli, Bollati Boringhieri, 2010
Luciano Floridi, Onlife Manifesto. Being Human in a
Hyperconnected Era, Springer, 2015
Maurizio Ferraris,
Mobilitazione totale, Laterza, 2015
Marco Revelli, Populismo 2.0, Einaudi, 2017
Dicerie e
pettegolezzi
Ma ne presuppone un
altro, egualmente forte e influenzante. L'enfasi dedicata allo psicologismo del
"percepito" nasconde una cosa più semplice (e triste) gli italiani
sono disinformati. Sono dei ciuccioni, ignorantissimi e pure creduloni. Vorrei
proporre il nobel e/o la beatificazione per Sergio Benvenuto, autore di Dicerie e pettegolezzi. Perché crediamo in
quello che ci raccontano, un testo del 1999 attualissimo e purtroppo
misconosciuto. La sua ristampa sarebbe salutare. Ci aiuterebbe a farci furbi, a
non abboccare a qualsiasi scemenza il più delle volte dalla stessa struttura,
aiuterebbe gli istituti demoscopici (e pure chi commissiona i sondaggi) a non
incoraggiare le fibre credule dell'animo umano.
(...)” La diceria è vox populi: essa
esprime cose che la gente desidera, pensa o crede, ma che non è disposta a
sostenere esplicitamente (…). La diceria ci mette in contatto con una
dimensione umbratile della vita sociale, con i bassifondi o le fogne
impresentabili del pensiero collettivo”. (p.13)
Si picchia
Salvini
In questo titoletto qualcuno riconoscerà una eco
freudiana che appaga un fantasma aggressivo e nello stesso tempo sdrammatizza
il posizionamento e il ruolo del tristemente noto vice-premier della Lega come
un bambinone. Che infatti sculaccerei molto volentieri. In oltre sessanta anni,
diciamo una quarantina di vita politica, campagne, comizi, tribune elettorali e
votazioni, ammetto di non aver mai raggiunto gli attuali livelli di
preoccupazione (e di aggressività) per un leader politico. Ho un ricordo di
Giorgio Almirante, sicuramente nostalgico del ventennio, insomma fascistissimo,
ma sempre irenico, raziocinante, educato, elegante.
Anche Amintore Fanfani, pur
non risultando proprio simpaticissimo (in famiglia, mentre a ora di cena si
assisteva ai dibattiti in bianco e nero con Gianni Granzotto o Jader Jacobelli,
lo si appellava "piccolo e malucavato"),
ma risultava essere comunque uno statista. Figuriamoci poi i vari Moro,
Berlinguer, Zaccagnini: santi subito!
Sopportabili e civilissimi pure i Nenni,
Malagodi, Spadolini, e persino i più politicamente distanti Rauti e il
monarchico Michelini. Il massimo di esuberanza - per tematiche e trovate
retoriche - era quella di Pannella, Faccio, Spadaccia, Bonino.
E che bravi
Lelio Basso e Vittorio Foa, e che belli Lucio Magri e Luciana Castellina.
Facile antipatizzare con Ugo La Malfa e Saragat, ancor di più coi vari Mario
Tanassi, insopportabile Bettino Craxi. Si capiva che era "spìertu"
(in tempi più recenti Renzi lo ricorderà molto) ma restava detestabile.
Questa
carrellata per dire che mai sono arrivato a provare un odio così esacerbato
come per Salvini. Nella mia lunga storia di telespettatore e di
"votante" mai avevo raggiunto gli odierni picchi di pulsioni omicide.
Rotti gli indugi proprio su Facebook, dopo aver aperto un thread sui rischi
collegati allo sputare in faccia al Ministro dell'Interno, ottenni subito
rassicurazione da un mio amico avvocato: una performance derubricata in
ingiuria, di fatto depenalizzata, passibile di un’ammenda fino a un massimo di
500 euro.
Ora lo stesso amico avvocato – poteri della persuasione – mi informa di aver avviato una stramba ricerca di Personale: “ A.A.A. Cercasi jihadista di buona volontà per eliminazione Salvini”. Subito dopo così contestualizza “Felpaman vuole alzare i toni dello scontro (vedi decreto del Tribunale di Bologna su iscrizione anagrafe)” e esorta “ACCONTENTIAMOLO!!!”. Ovviamente si scherza. Ecco all’improvviso il superamento di una distanza critica[15].
Ora lo stesso amico avvocato – poteri della persuasione – mi informa di aver avviato una stramba ricerca di Personale: “ A.A.A. Cercasi jihadista di buona volontà per eliminazione Salvini”. Subito dopo così contestualizza “Felpaman vuole alzare i toni dello scontro (vedi decreto del Tribunale di Bologna su iscrizione anagrafe)” e esorta “ACCONTENTIAMOLO!!!”. Ovviamente si scherza. Ecco all’improvviso il superamento di una distanza critica[15].
Il
sottoscritto si sarebbe accontentato di un avvicinamento al Ministro
sufficiente a consentire il lancio di uno sputo dal target tradizionale e il
mio avvocato di fiducia (che evidentemente a furia di …ha imparato a zoppicare)
esterna un desiderio di deflagrazione e annientamento.
Verso una prossemica virtuale
Se sulla prossemica reale, cioè spaziale, plana
quella virtuale – ecco l’approccio di Emanuele Fadda – viene metaforizzato
buona parte del lessico e dei tropi tipici del web.
Una passeggiata di 88 pagine (bibliografia
compresa) da fare a passo svelto. Un booklet
[16] denso
che connette la pragmatica di Watzlawick allo scardinamento – per via
telematica - del perimetro della distanza intima supposta da Hall. Ecco dunque l’echo chamber (“ognuno si forma una
cerchia di contatti che hanno opinioni, modi di comportarsi, riferimenti
culturali e forme d’ironia simili”), ecco il grooming (lo spidocchiarsi a vicenda, vale a dire lo scambio di likes) che – dice Fadda – tra le scimmie
è l’azione “politica” per eccellenza. Senza dimenticare il clickbaiting (cioè il
rimorchio dei click) e che la distanza
intima “è propria della lotta, dell’amplesso, ma anche del conforto e della
protezione”[17].
Non a caso dimensioni strategiche nel campo di gioco di un Salvini. Scrive
Fadda: “Come il grooming animale,
quello virtuale prevede situazioni di disparità anche forti, in cui c’è chi dà
molto e chi riceve molto, e quest’ultimo ha potere sul primo. Come nei branchi
di scimmie, il successo su Facebook, il potere degli influencers, viene misurato come pura somma di interazioni individuali: ricevere likes (a prescindere da quanti se ne
danno) è una misura esatta del potere sociale, in cui i fattori qualitativi non
hanno alcun peso. (…) Anche questi aspetti sono coerenti con il modello della
società scimmiesca. Sappiamo che vi sono specie di primati – come i Bonobo –
che sessualizzano quasi completamente la diplomazia, risolvendo i conflitti con
scambio di favori erotici”[18].
A questo punto, più o meno da queste parti,
Fadda (il semiologo), “Lele” (il filosofo del linguaggio), affida a una nota
una riflessione amara: “Il clickbaiting
è comportamentismo puro: per condizionamento
entriamo nel sito in certe situazioni, anche se razionalmente sappiamo che non ne vale la pena. Il nostro dito
agisce prima del cervello (o almeno prima della corteccia prefrontale). [19]
Cosa è qui? Cosa è lontano?
Le domande di Meyrowitz erano semplici (il
semplice è il contrario del semplicismo) e dunque complesse: che cosa è qui?
che cosa è lontano? in che modo si modifica la nostra mappa delle relazioni
spaziali se ci risulta più facile parlare con un amico a New York rispetto al
signore della porta accanto?[20]
Non c’è risposta. Salvo far rispondere la cultura fenomenologica, ad
es. un Carlo Sini, rilevando che c’è una distanza costitutiva e che le nuove
tecnologie non fanno altro che rappresentare l’acting out di qualcosa che era perlomeno latente o
strutturalmente preesistente. Insomma, che covava già nei primi
movimenti e negli effetti del web.
***
Il ministro Salvini chiagne e fotte. Si lamenta e minaccia. “O
una riforma della giustizia è importante, vera, pesante, significativa …Non
siamo al governo per fare le cose a metà”.
Fabbrica continui paradossi: bistratta i governi francesi, tedeschi e
olandesi, non partecipa alle riunioni coi colleghi ministri dell’UE, i suoi
tweet li provocano di continuo, etc. poi si lamenta della scarsa sensibilità
delle altre nazioni.
Si prenda poi il caso
di Carola Rackete, la capitana di SeaWatch 3:
- in termini di prossemica virtuale. In questo
caso ciò che gli studiosi definiscono "sovrastima della pervasività
sociale delle proprie opinioni". Pochissimi sanno qualcosa di diritto
marittimo internazionale, tutti sputano sentenze, tifano per questo e quello,
pochissimi empatizzano con quella "capitana" ("Non è che perché
sei bianca, ricca e tedesca che puoi venire a rompere le palle" dixit
quell'elegantone di Salvini) che ha l'obbligo di portare in salvo i naufraghi
raccolti in un pezzo di mare da troppo tempo senza testimoni. Questione ancora
più complicata dagli influencer e dai
professionisti raccontatori di balle. Solo per fare un esempio: Salvini parla
di "una sbruffoncella che fa politica" e a un nostro amico (persona
ospitale, sensibile e intelligente, a parte la momentanea infatuazione per le 5
Leghe) scappa un "Glielo ricordiamo noi un po' di diritto internazionale a
questi saputelli". Da "sbruffoncella" a "saputelli":
ecco servita la surdeterminazione della catena significante. Per non parlare poi
delle varie Grete e Gretine che hanno
autorizzato chiunque a esprimere odio e antipatia: "para na bimbetta
perfida di un cartone animato", enunciato seguito dall'invito a
"rispedirla nel suo mondo con i coetanei la vispa perfida gretina".
Il tutto rivendicato e firmato da un'insegnante di sostegno che si dice al
corrente dell'autismo e della sindrome di Asperger. Ecco, quel "rispedirla
nel suo mondo" suona particolarmente violento. E vorrei essere in una
nazione dove le scuole hanno gli strumenti per fare a meno di gente simile.
Il concetto di "sovrastima
della pervasività sociale delle proprie
opinioni" si allarga e include una sorta di architesto[21], dove le
bufale, le dicerie, le “cattiverie” (come antonimo del buonismo) si ancorano alle testate e/o ai blog relativi supposti
autorevoli di “direttori” e conduttori di talk show da prima serata. Formando
un tutt’uno veramente odioso.
Interessante quanto
sostiene Roland Gori: “L'impostore si trova oggi nelle nostre società
perfettamente a suo agio: fa prevalere la forma sulla sostanza, mette in risalto
i mezzi piuttosto che i fini, si fida delle apparenze e della reputazione
piuttosto che del lavoro e della probità, preferisce l'audience al merito, opta
per un vantaggioso pragmatismo piuttosto che per il coraggio della verità, sceglie
l'opportunismo dell'opinione invece di tener fermo sui valori, pratica l'arte
dell'illusione invece di emanciparsi attraverso il pensiero critico. Ecco
l'ambiente in cui prospera l'impostura! (...) L'impostore vive a credito, a
credito dell'Altro. Sorella siamese del conformismo, l'impostura è fra noi. [22].
Di questo perverso
dispositivo fa parte l’ospite fisso, vuoi per par condicio, più spesso nel
ruolo di agente provocatore. Sgarbi a parte, ora con parti meno scontate, è il
caso di Daniela Santanché. Daniela Garnero, già coniugata con Paolo Santanchè,
chirurgo estetico, di cui mantiene il cognome a seguito di un accordo
giudiziale in sede di separazione. Dal 1995 legata a l'ingegnere Canio Giovanni
Mazzaro, imprenditore farmaceutico potentino, presidente della Pierrel.
Politica e imprenditrice, veleggia tranquilla e arrogante in tutto il
centrodestra e nei talk show, vien spesso da chiedersi “che titolo ha Danielina
a parlare di ciò?”. Un falso problema. Nello psicodramma tv, oltre che nella
retorica cattivista, Danielina è
considerata, a tutto campo, come contraltare alla presenza di valori edonistici
e all'assenza di lotta[23].
La sua mandibola
aggressiva è sempre lì, vigile, pronta a contrastare qualsiasi forma di laissez-faire. Insomma, di buonismo.
Così può capitare che
Santanché abbandoni Agorà Estate, in polemica con la conduttrice rea di aver
accordato poca enfasi all’assassinio del carabiniere (in realtà i primi lanci
di agenzia avevano ritenuti colpevoli due maghrebini, non due giovanotti
statunitensi). Evidentemente spiazzata dalla supposizione, per lei scontata,
della responsabilità di un Altro, profugo o migrante.
Tramite una diretta
Facebook anche il nostro “bugiadro” ha accusato i suoi corrispettivi alla
Difesa e all'Economia di averlo lasciato solo nell'affrontare i problemi
dell'immigrazione. Immediatamente sbugiardato, ben presto arriva però la
risposta della Ministra Trenta, che sostiene di aver offerto aiuto in più occasioni,
ma di essere sempre stata respinta misteriosamente dallo stesso Viminale, che
ora si lamenta tramite Salvini.
Così vanno le cose in
Italia nell’estate del 2019. Sinceramente credo che il sogno filosofico di una scienza della
comunicazione, che volentieri mi coinvolse, e che mi portò ad approfondire la
nuova retorica pubblicitaria, in termini verbo-visivi, di isotopia e di
bellezza ed efficacia del ragionamento, richieda oggi saperi e pratiche più
robuste. Non più in punta di fioretto, ma adeguate all’odierno clima di
regressione culturale e di homo homini
lupus. Chissà, forse si potrebbe potenziare
e rilanciare un corso di laurea in sinergia con quello cugino sull’Intelligence e analisi del rischio.
“Gli animali non hanno critici. Il lupo non
critica l’agnello, lo mangia”.
Erik
Satie, Quaderni di un mammifero, a
cura di Ornella Volta, Adelphi, 1980
§§§
Si ricorderanno le
lauree honoris causa a Vasco Rossi e a Valentino Rossi, entrambe del 2005.
“L’intento autopromozionale delle università appariva evidente: piazzando un
prodotto come Vasco o come Valentino nelle corde dei media si intendeva offrire
una ribalta agli stessi corsi di studio, e attraverso questi alle università di
insediamento. Più iscrizioni uguale più budget. E i media reagirono come
previsto, dando ampio spazio alle cerimonie di laurea dei notissimi personaggi,
con il loro ampio seguito di simpatia giovanile. Tuttavia fu sottovalutato
l’effetto boomerang di quelle trovate apparentemente felici [24]
Legittimo chiedersi
ora se Salvini, il suo incredibile successo politico, potrà essere un
testimonial egualmente efficace o, meglio, un caso di studio utile per le
prossime generazioni. A patto che ce ne siano e che i governi “sovranisti” non
facciano troppi danni. Con la speranza che l’esperienza di governo, qui
sommariamente raccontata, volga molto presto al termine.
[1] Cass R. Sunstein, Voci, gossip e false dicerie,
Feltrinelli, 2010, p. 11.
[2]
http://www.paolofabbri.it/voce/
[3] Paolo Fabbri, op.cit.
[5] Nicholas Carr, Internet ci rende stupidi? Raffaello
Cortina, 2011
[6] Emanuele Fadda, Troppo lontani, troppo vicini. Elementi di
prossemica virtuale, Quodlibet Elements, 2018
[7] Giovanni Ziccardi, L’odio on line, Raffaello Cortina, 2016
[8] D’altra parte Di Maio, confortato da Di
Battista, era quello che aveva tuonato a favore dell’impeachment di Mattarella
(non si è mai capito il motivo, salvo che come reazione al veto sulla nomina di
Paolo Savona).
[9] Sergio Benvenuto, Dicerie e pettegolezzi. Perché crediamo in
quel che ci raccontano, Il Mulino, 1999, p.130
[10] Sergio Benvenuto, op. cit. p. 127
[12] Il Foglio, “Il governo delle 271 bufale”, 8
Aprile 2019
[13] Mario Caligiuri, Introduzione alla società della
disinformazione. Per una pedagogia della comunicazione, Rubbettino, 2018
[14] Paolo Fabbri, La prossemica a lungo corso, in E|C,
rivista dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici on-line, pubblicato in
rete il 21 gennaio 2019.
[15]
Secondo
la definizione di Hall, la distanza critica comprende lo stretto intervallo che
separa la distanza di fuga da quella di attacco.
[16]
Uso "booklet" non per sminuirne la portata ma solo per sottrarmi alla
metatesi spiazzante con la quale dovrei indicarlo come "libriccino" -
con due c, mentre si pronuncia "libbricino" con due b e una sola c.
[18] Emanuele Fadda, op.cit., pp. 44-45
[19] Emanuele Fadda, op.cit. p.44 “C’è una cosa su cui il
comportamentismo ha vinto su tutta la linea, e questa vittoria non va nemmeno
dimostrata, tanto è evidente”. (…)
[20] Joshua Meyrowitz, Oltre il senso del luogo. L'impatto dei
media elettronici sul comportamento sociale, Baskerville, 1995
[22] Roland Gori, « La fabrique des imposteurs et la toute puissance du
pervers narcissique », Une conférence enregistrée en février 2014. (Roland
Gori, professeur émérite de Psychopathologie clinique à l'Université d'Aix
Marseille, psychanalyste membre d'Espace analytique).
[23] “Ma la posizione di opponente
è una posizione sintattica, non semantica; in ogni caso essa può essere
riempita non necessariamente da opponenti figurativi, antropomorfizzati, ma da
occorrimenti diversi: ad es.: il servizio militare, la scomparsa della voce,
una delusione d'amore, ecc. L'assenza di opponente figurativo può essere una
regola discorsiva di genere (ma i contrasti col manager?), ma sul piano
sintattico la funzione c'è ed una tipologia dei suoi investimenti semantici
presenterebbe il massimo interesse. Nel web l’opponente figurativo è sempre
presente, sia antropomorfizzato (prevalentemente la faccia di George Soros,
supposto pluri-finanziatore) che nell’astrazione delle ONG che trafficano con
gli scafisti) Cfr. Paolo Fabbri, “A
passion veduta: il vaglio semiotico”, in “Saggi”, Gennaio 1991, in: Isabella
Pezzini (a cura di), Semiotica delle
Passioni, Società Editrice Esculapio – Progetto Leonardo, Bologna, 1991,
pp. 159-189.
[24] In “Comunicazione e media”,
n.5, novembre 2012
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