Dissertazione sulla poesia erotica
di Dante Maffìa
Quando alcuni mesi fa concordai l’argomento con Cinzia Demi rimasi perplesso per alcuni giorni, preoccupato di non trovare materiale necessario per una ricognizione esauriente. Cominciai a riguardare i libri degli scaffali, prendendo via via quelli che mi parevano attinenti, e alla fine della mattinata mi trovai sulla scrivania una tale quantità di testi, greci, latini, francesi, inglesi, italiani, che a quel punto la mia ansia, invece di placarsi, aumentava per ragioni diverse. Ero preoccupato, avevo difficoltà a pensare a una sintesi: troppe le sfaccettature dell’argomento, troppi gli autori, e molti inaspettati. Così, dunque, ho deciso di procedere. Ho cominciato a raccogliere i modi di dire e gli aforismi, o gli pseudo aforismi, ciò che circola più diffusamente: “Tutta la letteratura, in particolare la poesia, è frutto di erotismo”. Ricordo che Rafael Alberti lo ribadiva spesso negli incontri che andava facendo con i suoi lettori, e non per vezzo, ma credendoci fermamente, al punto che le sue poesie, a leggere bene, ne grondano, con allusioni e riferimenti diretti, con immagini decise e analogie spettacolari. Negli anni Settanta, in un piccolo saggio sulla poesia erotica, uscito sulla rivista “Il Vantaggio”, utilizzai come titolo un suo verso: “Girasoli i suoi seni”. Ma si dice altro: “Ogni poesia (non tutta la poesia) è frutto di un sogno condiviso con l’altra”; “La poesia è il fiore di eccitazioni furiose che trovano nella parola la sublimazione”; “Una poesia riuscita è un orgasmo perfetto, intenso, che rompe le coordinate celesti per ricomporle con maggiore ardore di libertà”; “La letteratura è il canto del desiderio erotico che trova la sintesi del divino nella stesura di narrazioni e folgorazioni che si fanno bellezza”. Potrei andare avanti, ma credo che finirei col divagare, perché l’argomento sfugge a catalogazioni precise, come ho appreso con certezza quando, circa venti anni fa, Luigi Reina, dell’Università di Salerno, propose a ventuno poeti di tradurre ventuno poeti erotici dal latino. Il libro si intitolava Veneri e priapi, io tradussi il Panormita con gaudente partecipazione: sentii che, come dice Emilio Cecchi in un indimenticabile articolo del 1948 su le “Parolacce”, le parole “traboccano di gioia e di energia, da sembrare che per loro mezzo si celebri una sorta di folle ed orgiastico battesimo della materia vitale”.
Per potermi orientare in mezzo a tanta ricchezza di testi ho cominciato a leggere o a rileggere focalizzando l’interesse non più soltanto sullo stile, sulla bellezza espressiva, sugli esiti letterari, ma tenendo conto dell’argomento e cercando di stabilire se ci fosse una qualche differenza tra erotismo e pornografia. Non mancano gli studi che ne discutono, come quello di Piero Lorenzoni, Erotismo e pornografia nella letteratura italiana, del 1976; come quello a cura di Silvia Vegetti Finzi, Storia delle passioni, con saggi illuminanti, anche se in maniera indiretta, tra gli altri di Sergio Moravia, di Antonio Prete, di Remo Bodei, del 1995; come quello di Alexandrian, Storia della letteratura erotica, del 1990; e non mancano le Antologie che danno conto del lungo percorso della letteratura erotica, con esempi molto belli e spesso intriganti. Ne ricordo qualcuna, Canti erotici dei primitivi, a cura di Alfonso M. di Nola; Lodi del corpo femminile, con una Introduzione di Giovanni Raboni; il già citato Veneri e Priapi, a cura di Luigi Reina; Antologia della poesia erotica contemporanea, uscita nel 2006; e l’insuperata Il fiore della poesia erotica, in cui troviamo traduzioni accurate e raffinate che presentano composizioni di Catullo, dei Carmina priapea, di Marziale, del Panormita, di Baudelaire, di Verlaine, di Gautier, e dove troviamo testi di Casti, di Aretino, di Baffo e di Berni. Tuttavia bisogna sempre discutere con arguzia, non dimenticando il fattore estetico. Il troppo carico e spinto, se non nasce da una necessità espressiva, dà l’idea d’essere capitati in un vecchio magazzino di preservativi rosicchiati dai topi o di essere entrati in uno di quei sexy-shop olandesi dove ci si può salvare dalla grossolanità e dalla trivilialità soltanto sorridendo. “Uno che se ne intendeva: Montaigne, e ci teneva a dir pane al pane e vino al vino, una volta osservò che ha voglia Marziale d’alzare le sottane a Venere fin sopra la testa. Egli non riesce a mostrarcela intiera, come altri poeti (Virgilio, Lucrezio) più discreti di lui”.
Ma come raccordare tanta ricchezza di espressioni pur tenendo conto che “chi dice tutto ci satolla e disgusta”? Come dare la possibilità al lettore di entrare in un mondo davvero straordinario, affascinante, spesso irritante e scomodo,un mondo che non ha veli, che non riconosce nessun diritto ai divieti, che è libertà assoluta, vita viva e vera, densa e piena, “poesia finalmente libera dalle pastoie del consueto”? Impossibile, se non facendo un parziale elenco di nomi e poi offrendo qualche esempio, senza trascurare i poeti dialettali che hanno sempre avuto un ruolo significativo nelle trasgressioni, da Duonnu Pantu, prete calabrese che pubblicò tre poemi intitolati La cazzeide, La culeide e La cunnedide, a Giuseppe Giochino Belli i cui sonetti sono irripetibili momenti di pienezza di vita, a Ferdinando Russo, a Salvatore Di Giacomo, Carlo Porta, Domenico Tempio… e tanti altri. Per tornare alla lingua italiana, non manca quasi nessuno dell’intera letteratura, a conferma delle affermazioni che tutta la letteratura è erotismo, sete di lussuria, pornografia che però non deve mai scadere nella sconcezza, nella volgarità, nella futilità gratuita. Tralascio la narrativa, perché se cominciassimo ad analizzare Petronio e poi, giù giù, passando per Boccaccio, per l’Aretino e per il Machiavelli, non finiremmo più di fare commenti di ogni genere, soprattutto per quanto concerne il modo di esprimersi nelle varie epoche che, sia detto a chiare lettere, non furono mai bigotte o chiuse a nessuna esperienza, se addirittura Papa Sisto concesse ai cardinali di godere dei fanciulli “nei mesi più caldi”. Ci sono romanzi erotici, o se volete chiamateli spinti, ispirati al sesso e alle passioni umane, che meriterebebro una grande attenzione. Un esempio è Suor Monika, attribuito a Hoffmann. Nel 1979 è stato ripubblicato con un saggio introduttivo di Claudio Magris che, citando Bataille, afferma “l’eliminazione di ogni differenza fra soggetto e oggetto” nel libro; ma non mancano gli esempi recenti, italiani e stranieri, quelli di Miller, di Pauline Réage, di Valerie Tasso, di Salwa Al-Neimi (meravigliosi testi Il libro dei segreti e La prova del miele), di Annie Ernaux. Non parliamo dei classici, da Il giardino profumato a I gioielli indiscreti, a Justine, a Fanny Hill, a L’amante di Lady Chatterley, a Lolita, a I peccati di Peyton Place. Anche in questo caso l’elenco sarebbe infinito, e devo sottolineare che spesso l’erotismo più acceso arriva da pagine apparentemente “caste” nelle quali non si consumano atti sessuali, ma appena carezze, sguardi e baci, come ne L’amore di Mitia di Ivan Bunin, oppure da invenzioni eclatanti come avviene, per fare un esempio, in Mangiami dell’australiana Linda Jaivin.
Restiamo dunque alla poesia, che da subito ha fatto sentire il desiderio come fonte insaziabile di parole; ascoltiamo come perennemente abbia testimoniato l’incontro d’amore, e lo abbia descritto dettagliandone i momenti, il ritmo, la bellezza, l’abbandono, il segreto, la fuggevolezza, in tutti i tempi. Ascoltiamo la voce di alcuni poeti scelti senza un preciso criterio, forse soltanto seguendo il filo della scherzosità o della sensualità più spudorata. Gli effetti non sono sempre suggestivi ma ci dicono, in coro, che se la vita nasce da un atto sessuale anche la poesia viene da lì, perché la poesia è vita, sintesi di vita, amore, scambio di saliva, di corpi, di anime, con eccessi e languidezza, con effusioni e perdita totale del proprio essere. La parola dei poeti non ha fatto altro che testimoniare l’amore che si rinnova, che ci fa sentire vivi al centro dell’universo, pieni di voglia pazza di unirci agli altri corpi. In Così parlò Zarathustra Nietzsche afferma: “Corpo io sono in tutto e per tutto, e null’altro”. Io dico che della mia donna ho goduto sempre la sua anima perché ne ho saputo individuare la sua fisicità, il suo sesso. Perché l’anima ha il sesso più dolce e più meraviglioso che si possa immaginare. Ma è un privilegio dei poeti. Lasciate ai poeti almeno questo privilegio. Gli altri privilegi vadano tutti ai politici e ai mercanti. Soprattutto ai mercanti di sillabe.
Un’annotazione finale: ci sono stati dei momenti in cui la letteratura erotica è diventata centrale negli interessi di alcune case editrici. Recentemente Einaudi, con la collana “Stile libero” e con opere come quella di Virginie Despentes intitolata Scopami; ma non si dimentichi che circa cinquant’anni fa a Roma fu fondata una casa editrice che si chiamava Eros. Era al numero 49 di Via Monteverde. Pubblicava solo libri erotici.
Dante Maffìa
2 dicembre 2016
https://ediletteraria.wordpress.com/2016/12/02/dissertazione-sulla-poesia-erotica-di-dante-maffia/
fenomenale l'excipit in rima della trilogia donnupantesca:
Jati gridannu ppe tuttu lu munnu:
Viva lu cazzu, lu culu e lu cunnu.
Più prosaico il secondo:
«Si parrati ’i cunnu miscatimìcci puru a mmia» (cioè: se parlate di… coinvolgetemi).
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